Forse perché i leader delle democrazie ci esibiscono tutti i loro difetti, talvolta mostruosi, di riflesso abbiamo tendenza a sopravvalutare i dittatori. Di Putin, spesso si è parlato come di un genio. Forse una certa abilità tattica gli va riconosciuta, è vero. Ancora di recente era sembrato un maestro di astuzia. Al vertice di Anchorage aveva incassato un bel tappeto rosso, i riguardi di Trump, la legittimazione di un trattamento che restituiva alla Russia il rango formale di una superpotenza, quasi alla pari con l’America. In cambio non ha poi concesso niente, come si è scoperto col passare delle settimane. Invece della tregua gli attacchi russi si sono perfino intensificati ed è salito il bilancio di vittime civili.

Quel successo tattico di Putin è stato di breve durata. Ora l’Amministrazione Trump vara sanzioni pesanti e anche sulle forniture di armi all’Ucraina si spinge ben oltre quel che fece l’Amministrazione Biden. Forse Putin è un tattico brillante, ma come stratega? Sintetizzo qui la serie di disastri che lui si è auto-inflitto o ha inflitto al proprio paese: dall’economia alla geopolitica alla sicurezza militare, l’elenco è lungo.



















































Parto dall’aspetto bellico. Alla vigilia del 24 febbraio 2022 (invasione dell’Ucraina), la Russia aveva di fronte una Nato dormiente, sotto-dimensionata, con organici militari inadeguati e arsenali semivuoti. Lui la descriveva come “aggressiva”, in realtà la Nato del 2022 era un’alleanza in letargo. Da allora cos’è accaduto? La Nato ha acquisito due nuovi membri rilevanti, Svezia e Finlandia. Trump ha ottenuto impegni di aumento di spesa fino al 3,5% e in prospettiva fino al 5% del Pil. La Germania ha annunciato piani di riarmo, che nella realtà saranno lenti e difficili, ma costituiscono comunque il più grave pericolo per la sicurezza della Russia alla luce di tutta la storia del Novecento. L’Ucraina ha mobilitato 800.000 soldati che oggi sono nei fatti “la difesa comunque europea”: combattono per fermare l’avanzata russa, e da quattro anni riescono a non soccombere davanti a un esercito molto più grosso. La stessa Ucraina nel frattempo si è dotata di un’industria dei droni seconda solo a quella di Israele.

Economia. Fino al 22 febbraio 2022 Putin campava di rendita sulla geniale intuizione dei suoi predecessori sovietici: rendere l’Europa dipendente dall’energia russa era una polizza vita per il suo regime. Gli europei erano clienti ricchi, generosi, e non molto scaltri. Inoltre, le forniture di gas russo creavano un’atmosfera di implicita russofilia in molti ambienti economici e forze politiche europee, rendevano imbelle e remissivo il fianco europeo della Nato. Tutto questo si è lentamente volatizzato. Sia pure con estrema riluttanza, l’UE sta recidendo quasi tutti i legami energetici con Mosca. Sta perfino decidendosi a sequestrare i beni russi nelle sue banche. Avendo perso l’Europa, Putin ha dovuto gettarsi nelle braccia della Cina e dell’India come maggiori acquirenti della sua energia fossile. Brutto affare. La Cina sta colonizzando l’economia russa, ha atteggiamenti di una prepotenza che l’Europa occidentale non si è mai sognata. E poi la Cina si prepara un futuro post-carbonico, è all’avanguardia nell’energia nucleare, solare, eolica. Per cui avrà meno bisogno delle forniture russe, che già oggi Pechino paga il meno possibile. Pure l’India è una cattiva pagatrice, negozia sconti pesantissimi per cui i russi devono venderle energia sottoprezzo. E il superdazio del 50% imposto da Trump a Delhi proprio per punirla degli acquisti di petrolio russo sta provocando qualche problema anche su quel fronte.

Geopolitica. Completamente assorbito dal fronte ucraino, Putin non ha potuto impedire la caduta del regime di Assad in Siria, che era un suo vassallo. Quando Trump ha bombardato l’Iran, la Russia non ha mosso un dito in difesa di un altro alleato. In Medio Oriente la sua influenza e la sua reputazione sono ai minimi storici. In Asia centrale la sua capacità di interferire nelle ex-repubbliche sovietiche arretra, minacciata da ingerenze americane o cinesi. L’alleanza con la Cina è un punto saldo, è preziosa, ma quella esisteva già prima del 22 febbraio 2022. Può darsi che Xi Jinping gli resterà eternamente grato per aver distratto gli americani dall’Estremo Oriente e aver tenuto attenzione e risorse dell’Occidente concentrate sull’Ucraina. Però la stessa Cina ha i suoi problemi economici, soffre per i protezionismi dell’America e anche dell’Europa (piano piano Bruxelles si sta attrezzando per non essere invasa da merci cinesi “dirottate” verso di lei dalla chiusura degli sbocchi Usa). Prima o poi se Xi cercherà un compromesso con Washington e con Bruxelles, qualcosa del suo appoggio a Putin potrebbe diventare negoziabile.

Non si tratta di passare da un estremo all’altro, di descrivere un Putin “isolato”, o al capolinea: in passato ogni eccesso di euforia in questo senso si è rivelato sbagliato. L’ultimo errore che ha commesso è stato forse proprio sul terreno dove lo credevamo più abile: nell’analisi psicologica e nella manipolazione del presidente americano. Putin ne ha ingannati tanti, in passato: Bush disse di avergli letto negli occhi e di avere “visto un’anima”, e poi nel 2008 lasciò correre l’aggressione alla Georgia; Obama non capì la pericolosità della Russia (da lui definita “potenza regionale”) e la sua reazione all’annessione della Crimea nel 2014 fu debolissima; Biden lanciò segnali ambigui e contraddittori sul livello di sostegno americano all’Ucraina; lo stesso Trump si è lasciato abbindolare in almeno due vertici, Helsinki e Anchorage. Alla terza, però… La cancellazione o il rinvio dell’appuntamento di Budapest sembra nascere da almeno due fattori. Il primo è l’influenza del segretario di Stato Marco Rubio e del suo clan anti-putiniano (che ha una sponda nel Pentagono). Il secondo è l’orgoglio ferito, la vanità offesa, la permalosità di Trump: a furia di sentirsi dire che Putin lo ha preso in giro, ha fatto quello che gli riesce bene: una giravolta. Come sulla Nato. Il fatto di non avere idee precise né una Dottrina geopolitica, ha un vantaggio: Trump può rimangiarsi tutto, e ripartire nella direzione opposta. Putin aveva alla Casa Bianca, se non un amico, per lo meno qualcuno che non lo osteggiava a priori, e che voleva provare la strada della riconciliazione, del grande patto, del disgelo. Stando a quel che accade a Washington in queste ore, sta sprecando pure questa opportunità. Il bilancio complessivo per il “genio di Mosca” continua a peggiorare.     

23 ottobre 2025, 09:04 – modifica il 23 ottobre 2025 | 12:45