di
Paolo Mereghetti
Presentato alla Festa del Cinema di Roma insieme a «Good Boy», simil fiaba nera del polacco Komasa con Anson B(voto 7)
Ti riconcilia col cinema il documentario «Roberto Rossellini – Più di una vita» che Ilaria De Laurentiis, Andrea Paolo Massara e Raffaele Brunetti hanno presentato in concorso. E non solo perché tornare a confrontarsi con Rossellini fa sempre bene, ma per il modo con cui lo fanno i tre registi. Intanto si occupano della «seconda vita» del regista, quella che inizia con l’interesse per l’India e prosegue con i lavori per la televisione. Poi perché usano solo materiale d’archivio (in parte inedito) e affidano il testo esclusivamente agli scritti (letti da Sergio Castellitto) e alle dichiarazioni del regista e di chi ha diviso quel tratto di vita con lui, che si tratti di Truffaut o di Ingrid Bergman (in parte grazie alla voce di Kasia Smutniak), di Aldo Tonti (suo direttore della fotografia) o di Tinto Brass (che giovanissimo montò «India») o dell’ultima moglie Silvia d’Amico e altri ancora. Così, senza l’ingombro della voce off che spiega, si resta rapiti dall’entusiasmo con cui il regista vuole lasciarsi alle spalle un periodo (quello dei capolavori, da «Roma città aperta» a «Viaggio in Italia») che considera chiuso per iniziare nuove avventure, dove la televisione gli sembra il mezzo ideale per soddisfare la «fame di conoscenza» che l’uomo si porta dentro. Senza preoccuparsi della scarsità di finanziamenti ma non dell’indipendenza intellettuale, su cui il documentario (grazie a Rossellini) regala alcune pagine che andrebbero imparate a memoria dai giovani (e vecchi) registi di oggi.
Sempre del concorso va segnalato «Good Boy» del polacco Jan Komasa, dove un ventenne (Anson Boon) che pensa solo a strafarsi di alcol e droghe, dopo una notte di eccessi si sveglia con una catena al collo, prigioniero in una misteriosa cantina. Chi l’ha ridotto così? Cosa vogliono gli enigmatici padroni di casa (Stephen Graham, Andrea Riseborough e il giovane Austin Haynes)? Anche lo spettatore è lasciato nel dubbio, mentre seguiamo il percorso di «redenzione forzata» a cui i carcerieri sembrano volerlo indirizzare e che si intreccia con il destino di una giovane domestica (Monika Frajczyk), in fuga da una misteriosa minaccia: a volte sembra un racconto di formazione (molto sui generis), altre volte una simil fiaba nera che illumina i suoi personaggi di una inquietante ambiguità, salvo poi sorprendere tutti con un finale che ribalta ogni aspettativa.
23 ottobre 2025 ( modifica il 23 ottobre 2025 | 16:38)
© RIPRODUZIONE RISERVATA