Fabrizio Pregliasco (Imagoeconomica)

Il prezzemolino tv talebano dei vaccini ammette finanziamenti da Pfizer, Moderna, Novavax, Janssen, Bayer, Sanofi e altri. Poi, incalzato dai parlamentari, osa dire: «Sono più indipendente perché prendo soldi da tanti».Non era un’audizione sulla campagna vaccinale, rientrava ancora nel confronto sulle misure restrittive adottate durante la prima ondata pandemica, eppure Fabrizio Pregliasco ne ha approfittato per dichiarare in commissione parlamentare d’inchiesta che «il vaccino ha una buona sicurezza ed effetti avversi non particolarmente pesanti». Affermazioni certo non nuove da parte del direttore della Scuola di specializzazione in Igiene e medicina preventiva dell’Università degli studi di Milano, membro del Cts Lombardia durante la pandemia. La novità è che il professore ha ammesso: «Negli ultimi quattro anni ho avuto rapporti diretti di finanziamento con i seguenti soggetti portatori di interessi commerciali in campo sanitario». Li ha elencati: «Gsk, Sequirus, Bayer, Janssen, Sanofi, Bausch & Lomb, Lilly, Pfizer, Moderna, Novavax, Procter & Gamble». Praticamente tutti i grandi produttori di vaccini Covid, quindi come può affermare di parlare in modo disinteressato della bontà delle dosi inoculate a miliardi di persone, mentre riceveva finanziamenti da Big Pharma? Il senatore Alfonso Colucci, uno degli esponenti 5 Stelle più vicini all’ex premier Giuseppe Conte, ha tentato inutilmente di arginare l’effetto valanga di una simile dichiarazione di conflitto di interesse. «Ma ha avuto soldi personali o per la ricerca scientifica?», è stata la sua ridicola domanda, come se il finanziamento di studi non implicasse condizionamenti. «Stupisce che un aspetto così importante non sia stato evidenziato e denunciato anche da chi per anni ha fatto dell’onestà e della trasparenza una vera e propria bandiera politica», ha sottolineato Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Covid, accusando M5s e sinistra di predicare bene ma razzolare male. La difesa di Pregliasco è stata che si tratta di una problematica che riguarda «tutta la ricerca biomedica e chi lavora in questo campo», per poi precisare penosamente: «Forse sono più indipendente di altri perché ho ricevuto finanziamenti da più aziende». Dura è stata la replica di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fdi: «Chi prende soldi da produttori di farmaci non è terzo nel giudicare la questione vaccini. La politica ha fatto i conti con Mani pulite, anche in campo scientifico devono esserci chiarezza e onestà». Tutta l’audizione del professore è stata una celebrazione dei lockdown, delle campagne vaccinali però con tanti «non ricordo» e puntualizzazioni sorprendenti. «Il piano pandemico era sicuramente uno scheletro di azioni. Con il sistema dei dpcm il piano è stato attuato», ha dichiarato. Conte e Speranza avrebbero insomma rimediato al non aggiornamento e attuazione di un piano fermo al 2006 attraverso misure che hanno calpestato diritti costituzionali, minato la salute degli italiani e affossato l’economia nazionale.Gli interventi non farmacologici come lockdown, chiusure delle scuole e dei luoghi di lavoro «riducono significativamente la trasmissione del Covid soprattutto se combinati e applicati precocemente», ha detto. Però quando il presidente della commissione, Marco Lisei, gli ha chiesto se sapeva dell’alert dell’Oms del 5 gennaio 2020 che segnalava la presenza di un virus respiratorio che poteva avere rilevanza, Pregliasco è andato in confusione. «L’ho saputo dai media, non ricordo bene. Credo da comunicazioni formali, circolari». Ha spiegato che le misure che chiedevano di adottare erano «la revisione dei protocolli, la formazione del personale, di attrezzarci, di ridurre i contagi». Incalzava Lisei, l’avete fatto? «Gradatamente». Alla faccia della tempestività. Il piano pandemico sarebbe stato utile? «All’organizzazione dedicava poche pagine». Niente affatto, ne dedicava una trentina, lo smentiva il presidente della commissione. Colucci fremeva, voleva intervenire perché non accettava le domande di Lisei. A distanza di cinque anni dallo scoppio della pandemia, abbiamo dunque appreso dall’igienista che «il Covid è una patologia banale nella stragrande maggioranza dei casi», mentre ripete: «Essere protetto dalla vaccinazione riduce il rischio delle infezioni». I turbo tumori e le morti improvvise? «Raccontati singolarmente angosciano, erano una problematica che c’era e che rimane nei termini numerici uguale a prima e ha altri motivi in termini di cause e stili di vita». Tachipirina e vigile attesa andavano bene, farmaci come lo iodopovidone o l’idrossiclorochina «richiedevano più studi e metanalisi». I vaccini no? Se quei farmaci utilizzati fuori dai protocolli funzionavano per certi pazienti «era perché era loro destino guarire», asserisce Pregliasco. Parlando del rischio influenza aviaria (H5N1) lamenta che l’Italia «non ha opzionato l’acquisto di un vaccino pre pandemico. Se non succederà nulla sarà denaro risparmiato, se succederà qualche cosa sarà l’opzione che non avremo». Parla l’uomo di scienza o quello finanziato da Big Pharma?Papa Leone XIV ieri ha ripreso l’industria farmaceutica: sul dramma delle nuove droghe sintetiche sempre più letali, ha detto che non rappresentano «solo un crimine dei trafficanti di droga, ma una realtà che ha a che fare con la produzione dei farmaci e con il suo guadagno, privi di un’etica globale».

Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)

Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.

Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.

Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.

Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.

Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.

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Terry Rozier (Getty Images)

L’operazione Royal Flush dell’Fbi coinvolge due nomi eccellenti: la guardia dei Miami Heat Terry Rozier e il coach dei Portland Trail Blazers Chauncey Billups, accusati di frode e riciclaggio in un vasto giro di scommesse truccate e poker illegale gestito dalle storiche famiglie mafiose.