di
Mario Platero

Perché Trump ha annunciato l’intenzione di attaccare i narcotrafficanti anche sul suolo venezuelano? E che cosa comporta questo, visto che per il presidente Usa è lo stesso leader venezuelano Maduro a guidare i narcos? La strategia del tycoon – e cosa c’entrano Rubio e la neo-Nobel Machado

C’è la superficie, la tensione da thriller, gli attacchi americani da film in acque internazionali contro imbarcazioni (persino un piccolo sottomarino) usate da presunti trafficanti di droga venezuelani, prima nel Mar dei Caraibi, poi addirittura nel Pacifico. 

C’è l’escalation, inattesa e improvvisa: l’annuncio di mercoledì del Presidente Trump: «Forze speciali della Cia attaccheranno i trafficanti di droga e le loro basi anche in territorio venezuelano». L’accusa: Maduro stesso controlla i cartelli della droga che portano altro reddito a una nazione in difficoltà. Ma dietro l’azione e la guerra contro i cartelli della droga per «salvare centinaia di migliaia di vite in America» come ha spiegato il Presidente, per Donald Trump c’è un più elaborato disegno economico, politico e geopolitico che punta a rompere il rapporto privilegiato che Russia e Cina hanno sviluppato con il Venezuela per forniture energetiche e, soprattutto, a contenere l’enorme influenza accumulata da Pechino nella regione. 



















































C’è poi l’aspetto interno, con un intelligente intervento a gamba tesa del Segretario di Stato Marco Rubio contro altri esponenti dell’amministrazione che avevano suggerito con successo a Trump una linea pragmatica e transazionista nei confronti di Maduro. C’è il disegno regionale, che punta, dietro gli attacchi contro i trafficanti di droga, a un possibile cambio di regime a Caracas con l’obiettivo di deporre il regime e consentire a Maria Corina Machado, leader dell’opposizione, neutralizzata da Maduro in elezioni truccate, di prendere il potere. 

C’è infine il contorno romantico e non casuale per Trump: come ricorderete, proprio la Machado ha ricevuto pochi giorni fa il premio Nobel per la Pace per la sua eroica resistenza alla dittatura a Caracas: «Una donna che tiene la fiamma della democrazia accesa in mezzo a crescente oscurità».

Tutto però comincia in modo molto diverso all’inizio della seconda amministrazione Trump. Già durante il suo primo mandato il Presidente americano aveva sfidato senza successo Maduro. Poi ci ha provato Joe Biden (con una taglia da 25 milioni di dollari per chi avesse contribuito al suo arresto), prima di loro altre amministrazioni avevano attaccato i regimi dittatoriali comunisti di Caracas senza successo, anche nel periodo del dominio di Hugo Chavez (Barack Obama invocava la retorica dei «diritti umani violati a Caracas», quello gli rispondeva dandogli del «pagliaccio»). 

Ecco però che pochi mesi fa, al suo debutto al secondo mandato e incurante delle promesse elettorali, Trump, come sua abitudine, considera una virata di 180 gradi sul Venezuela: trascura il fatto che Maduro abbia «rubato» le elezioni, perse secondo stime di diverse Ong, con un 70% a favore dell’opposizione, e studia un piano messo a punto da suoi consiglieri: visto che Maduro controlla il Paese anche sul piano militare col pugno di ferro, perché non cercare un accordo? La proposta: l’America avrebbe cessato le ostilità attive e retoriche contro Maduro se il governo venezuelano avesse chiuso i suoi contratti di fornitura energetica a Cina e Russia (e Cuba, eterno alleato sia di Chavez che di Maduro), con l’impegno a cedere tutte le sue risorse energetiche e naturali in esclusiva agli Stati Uniti. La cosa interessa Trump: non solo c’è un allettante aspetto economico, ma si taglierebbe il rapporto di Caracas con Pechino e Mosca che preoccupa Washington. Separare la Cina dal Venezuela darebbe un messaggio forte al resto della regione – dove la Cina, anche nei Caraibi, è super attiva con grandi progetti infrastrutturali, e il piano comincia a prendere forma. Maduro supera l’imbarazzo di accordarsi con il nemico di sempre e secondo fonti informate e media americani, incluso il New York Times, accetta di negoziare segretamente un accordo: il vantaggio di garantirsi la sopravvivenza è più importante della sua guerra ideologica contro il capitalismo americano. E partono i primi contatti.

È a questo punto che entra in scena il segretario di Stato Marco Rubio, confermando di essere il politico più forte e intelligente di questa amministrazione e in grado di tenere testa a Trump. Rubio è figlio di immigrati cubani da sempre anticastristi. Ha costruito la sua carriera politica nei potenti ambienti dell’immigrazione cubana a Miami e più in generale in Florida. All’inizio della sua carriera il suo principale sostenitore fu un membro di una famiglia di origine cubana, anti comunista e anti castrista, fra i più importanti industriali al mondo. Il legame tra Cuba e Venezuela è da sempre fortissimo non solo sul piano ideologico, su quello politico militare ma anche su quello economico grazie alle forniture energetiche. Cercare un accordo con Maduro, ispirato, con Chavez, da Castro avrebbe tradito i suoi ideali sul piano politico e ideologico, creato difficoltà con la sua base elettorale e svuotato di significato il suo ruolo: accettare un simile piano di compromesso con la Caracas di Maduro da segretario di Stato, per lui era impossibile. 

Interviene così su Trump. Non solo sul piano morale e ideologico, ma gli dice apertamente che se procederà lungo quella strada un folto gruppo di deputati della Florida di origine cubana o comunque dedicati alla causa cubana e visceralmente anti Maduro si asterranno dal voto per il progetto di bilancio di Trump, l’ormai celebre «One Big Beautiful Bill Act». Con la risicata maggioranza repubblicana di pochi voti alla Camera per Trump il problema è molto serio. Ma Rubio è anche costruttivo con il Presidente, è lui che suggerisce le azioni militari contro la droga venezuelana, in linea con la retorica trumpiana anche contro i cartelli messicani e lo convince a passare all’azione contro il nemico di sempre degli Stati Uniti, con un approccio nuovo, volitivo e attivista: fare la guerra ai cartelli venezuelani, destabilizzare Maduro e consentire alla Machado di prendere il potere che legittimamente le spetta. In quel modo si raggiungerebbero tutti gli obiettivi del piano per il dialogo con Maduro, incluse la rottura con Cina e Russia e forse la concessione esclusiva delle risorse naturali venezuelane. 

Trump si convince. Interrompe il negoziato segreto per un accordo e già la scorsa estate autorizza gli attacchi sul mare e ora quelli all’interno del territorio venezuelano. Per questo si afferma che dietro questa guerra alla droga c’è l’obiettivo di un cambio di regime

Del resto, già il 4 di settembre Rubio dichiara in conferenza stampa al dipartimento di Stato che il Venezuela «è una organizzazione terroristica mascherata da governo» e che Maduro è un latitante incriminato e un «trafficante di droga» non un legittimo capo di Stato.

Questo sviluppo preoccupa giuristi e garanti delle autonomie interne di uno Stato. Sul piano interno venezuelano una deposizione forzata, militare o comunque con ingerenza esterna e in particolare americana del regime di Maduro potrebbe portare al caos. Bande armate che controllano il territorio in zone decentrate del paese potrebbero intervenire scatenando una guerra civile. La regione inoltre, da sempre sospettosa delle ingerenze americane prenderebbe malissimo un intervento armato americano soprattutto se dovesse puntare indirettamente alla sconfitta di Maduro. Inoltre, nella motivazione del premio per la pace della Machado la Commissione del Nobel dice chiaramente: «Riceve il Premio Nobel per la Pace per il suo instancabile lavoro per la promozione dei diritti democratici per il popolo venezuelano e per la sua battaglia per ottenere una transizione pacifica e giusta dalla dittatura alla democrazia». 

Il termine «pacifica» in questo contesto è chiave. E attacchi militari a un regime, se mai ci saranno, mascherati da «legittima difesa» contro la droga, presentano molti rischi per il «dopo» sia sul piano politico che strategico. 

Inoltre dal Venezuela i flussi di droga per l’America, sono relativamente modesti e principalmente di cocaina, ma non di Fetanyl, oppioide sintetico 50 volte più potente dell’eroina prodotto soprattutto in Messico, il killer micidiale per i giovani americani. E, come sappiamo, Trump ha offerto collaborazione militare contro i cartelli anche al Messico. Ma il Presidente messicano, Claudia Sheinbaum ha respinto le offerte americane affermando che la sovranità messicana prevale e che le truppe americane non sono benvenute in Messico e si «devono escludere». Machado non la pensa allo stesso modo: appoggia la crescente pressione militare americana sul Venezuela di Maduro che definisce un «Narco Terrorista» ed ha affermato che gli Stati Uniti non stanno iniziando una guerra, ma rispondono a una «guerra dichiarata dal regime». Posizioni identiche a quelle di Rubio.

24 ottobre 2025