la vita va cosi

I due antagonisti di La vita va così di Riccardo Milani: Giuseppe Ignazio Loi (il pastore) e Diego Abatantuono (il capitalista), sulla spiaggia contesa. Foto Claudio Iannone / Ufficio stampa

PECCATO CHE OVIDIO non ce l’abbia fatta a vedersi sul grande schermo. Ovidio Marras: professione, pastore sardo combattente per la sua terra. Per salvare la sua casa e la sua vita, che andava così (pascolare le sue mucche sulla sabbia incontaminata) da prima di lui… Ovidio Marras è morto nel 2024, a 86 anni, nella sua casa al mare.

Il cast di La via va così e la spiaggia di Tuerredda

Oggi al cinema, distribuito da Medusa Film e PiperFilm, c’è la sua storia. Il film è La vita va così di Riccardo Milani, che ha aperto la Festa del Cinema di Roma. Il regista, dopo averci portati in Abruzzo con Un mondo a parte (altra storia vera, di “eroi normali”), stavolta ci conduce sulla spiaggia di Tuerredda in Sardegna, strenuamente difesa dal caparbio Ovidio. Che qui diventa Efisio, ed è interpretato da Giuseppe Ignazio Loi, pastore sardo doc anche lui. Al suo fianco, Virginia Raffaele, Aldo Baglio, Diego Abatantuono. Poker d’assi di un cast completato dalla partecipazione di Geppi Cucciari.

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Padre e figlia: Giuseppe Ignazio Loi e Virginia Raffaele

La storia vera di Ovidio Marras, il pastore che ha ispirato La vita va così

Pastore di Teulada, Ovidio ha combattuto fino all’ultimo per difendere il suo furriadroxiu. In lingua sarda: insediamento agropastorale monofamiliare. La sua casa e la sua terra. Dove aveva vissuto e pascolato le sue bestie e che ha sempre rifiutato di vendere al gruppo immobiliare che voleva comprarlo. Per costruirci un resort. Eco-sostenibile. Era il 2009, quando la Sitas, costruì l’enorme cantiere del futuro complesso turistico: 140 mila metri cubi di cemento tra i boschi fino a quel momento incontaminati e il mare. Ovidio disse no quando gli offrirono cifre da capogiro (12 milioni di euro): la strada che volevano costruire per velocizzare i lavori sarebbe dovuta passare dal suo furriadroxiu. Lui non diede mai il permesso. Una battaglia legale durata fino al 2016: sempre no. E quindi niente strada. Niente resort. Anche se in pochi erano stati d’accordo con lui, tra i suoi stessi vicini (fondarono un comitato Pro Sitas). La comunità si divise: il lavoro che il cantiere avrebbe garantito o la difesa della propria terra/tradizione/ cultura/natura/identità? Oggi Ovidio non c’è più. Ma non c’è neanche quel resort-mostro che non sarebbe mai stato eco-sostenibile. Lo dimostrano le rovine: il villaggio fantasma di Malfatano…

Dalla storia vera al film: la trama di La vita va così, il nuovo film di Riccardo Milani

Il famoso gruppo immobiliare Greatti (guidato Giacomo/Diego Abatantuono) decide di realizzare il sogno dei propri padri fondatori. Ovvero, costruire un imponente resort di lusso sulla splendida e incontaminata spiaggia di Bellesamanna in Sardegna. La maggioranza degli abitanti del vicino paese apre loro le porte, nella speranza di una maggior stabilità lavorativa e di guadagni sicuri. Solo un piccolo furriadroxu resiste, quello dell’irremovibile Efisio Mulas (Giuseppe Ignazio Loi), pastore abituato a portare le proprie mucche in riva al mare e deciso a morire in casa sua. Contro tutto e tutti, sostenuto solo dalla figlia Francesca (Virginia Raffaele), il solitario protettore di quella natura meravigliosa si scontra contro il pratico capo cantiere Mariano (Aldo Baglio). Ma soprattutto, contro tutti i suoi compaesani.  Impermeabile alle offerte milionarie che arrivano da Milano, porta a vanti una battaglia legale. Dalla sua parte, Giovanna (Geppi Cucciari), giudice nata e cresciuta in quei luoghi chiamata a dirimere il conflitto.

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Il cast e gli abitanti/attori

Recensione di La vita va così: il bel ritratto di un local hero

Di fronte all’avanzata delle ruspe e della speculazione edilizia, “un villaggio nell’estremità sud-occidentale della Sardegna, abitato da un irriducibile pastore, continua a resistere all’invasore”. Si potrebbe dire, così parafrasando Asterix. Qui c’è Efisio Mulas, uno di quegli eroi normali per i quali ci commuoviamo, ma che purtroppo non impariamo a emulare. Una storia e una figura tanto “grandi” che perfino Milani ci ironizza sopra. Quando la figlia dice «ci sarebbe un limite anche per gli stereotipi». E così, il film appena arriva alla retorica (a volte succede), scappa via. Non scappa invece da quella che è la sua vera essenza. Essere una lettera d’amore del regista alla Sardegna (celebrata anche nel recente docufilm su Gigi Riva), a chi lotta per la propria identità e la legalità. Al rispetto per i nostri simili e il territorio che abitiamo. Temi facili a cadere nella retorica, che invece qui al massimo sfociano in qualche didascalismo e macchiettismo (Baglio è meno Aldo del solito, e l’ottima Virginia Raffaele stenta molto prima di trovare la giusta espressività). E in quell’immobilismo, funzionale alla storia e a quel paesino dove il Tempo sembra essersi fermato.

La vita va così, tra risate e testimonianza: la commedia alla sarda, vera e impegnata di Riccardo Milani- immagine 5

Riccardo Milani sul set con Abatantuono

5 domande a Riccardo Milani

Dopo Un mondo a parte, un’altra storia italiana con un altro local hero…

Ho la fortuna di frequentare il Sud della Sardegna e ho scoperto questa storia 10 anni fa, leggendone sui giornali. Quella di Turredda è una spiaggia che conosco bene. Quando Ovidio è morto, ho chiamato Mario Gianani e gli ho detto che era il momento di raccontarlo. Io credo nelle persone e nella loro capacità di mandare un segnale, che in questo caso è duplice. Da un lato c’è uomo che ha il coraggio di dire di no e dall’altra una comunità spaccata, come avviene spesso in Italia e non solo. Questa storia mi ha dato la possibilità di raccontare il conflitto tra necessità del lavoro e rispetto del territorio da più punti di vista. Dico sempre che faccio film per parlare alle persone che non la pensano come me.

Com’è adesso la situazione, in quella zona?

È una questione ancora irrisolta. C’è stata una sentenza che ha ordinato la demolizione di parte degli edifici costruiti. Ma c’è anche la volontà – da parte di chi ha costruito e di una buona parte della popolazione – di mantenerli in piedi per avere uno ritorno economico da una futura ripresa dei lavori.

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Aldo Baglio

Più di altre volte si avverte il suo desiderio di mandare un messaggio, più che di far divertire…

Non so se altri miei film siano stati più divertenti di questo. Seguo l’istinto. Qui si ride, ma poi ci sono i temi che mi stanno a cuore. Magari c’è una nota di amaro in più, per il ricatto del lavoro con cui si mette uno contro l’altro. Ma non c’è solo lo scontro a tutti i costi, l’ostilità a tutti i costi. Ci sono diversità di vedute, ma penso che per questo Paese il confronto sia necessario per uscirne.

In questo senso, è indicativa l’assenza della politica nel film?

La politica è presente con le amministrazioni locali, che spesso sono l’ultimo anello della catena. La sua assenza fa sì che queste persone decidano da sole. Di certo lo fa il pastore, un uomo con la quarta elementare e più di 80 anni, che riesce a fermare un’operazione trovando appiglio nella giustizia. Che nel film è rappresentata da Geppi Cucciari. Lei è una rappresentante del territorio che trova una strada, fa il suo mestiere. Ma è vero che in certe zone il concetto di Stato è lontano.

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Come mai ha scelto la romana Virginia Raffaele per Francesca, con i tanti attori sardi coinvolti?

Nasce dall’aver già lavorato con lei, ma anche da qualcosa che avevo capito già dallo spettacolo teatrale che si intitolava Samusà. Era fatto di tanti personaggi, tanta comicità, ma anche di tanta profondità e dolore. Che lei stessa prova: si “sente” quando parla delle conseguenze della chiusura del luna park di Roma che era della sua famiglia da generazioni. Poi ha una straordinaria capacità di adattarsi ai dialetti e alla gente che incontra. È arrivata prima di tutti sul set, contattando le persone, vivendo accanto a loro, quotidianamente. Ed è molto popolare e simpatica e io avevo bisogno di una figura così per raccontare una storia anche aspra, a volte dura. Quanto a Geppi, ci siamo rincorsi perché aveva poco tempo. Ma era importante che il riscatto venisse da una persona nata e cresciuta nella sua terra. Sono stato felicissimo di lavorare con lei.