Se cerchiamo il significato di “genetica” sul dizionario troviamo questa definizione: «È il ramo della biologia che studia l’ereditarietà, la trasmissione dei caratteri da una generazione all’altra». Se nuovi scienziati dovessero concentrarsi sul mondo dello sport, consigliamo di citofonare alla famiglia Michieletto. La storia che parte da Mestre e arriva a Trento passando per Treviso e Desenzano è una meravigliosa storia di genitori e figli diventati tutti atleti di alto livello.
Alessandro, 24 anni tra un mese, ha toccato il picco più alto: due volte campione del mondo con la nazionale di pallavolo, premiato miglior giocatore all’ultimo mondiale. In casa, però, non è affatto solo. Il papà Riccardo è stato uno schiacciatore capace di vincere due scudetti e una lunga serie di coppe, la mamma Eleonora ha giocato a basket in serie A2. Oltre ad Alessandro hanno avuto due figlie e un altro figlio. Le ragazze sono arrivate a giocare in A1 e A2 di pallavolo, l’ultimo maschio ha scelto il calcio e per ora non gli è andata affatto male: è una promessa della primavera dell’Atalanta. Ricapitolando: mamma, papà, due figli e due figlie. Il talento è decisamente di famiglia.
«Le ragazze hanno già giocato, tra un’ora tocca a mio figlio e domani all’altro» sorride papà Riccardo in uno dei rari momenti liberi di queste giornate impregnate di sport. Partito da Mestre e capace di vincere tutto con la mitica Maxicono Parma a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, oggi Michieletto ha 57 anni e lavora al Trentino volley come team manager e responsabile del settore giovanile. Nella stessa squadra gioca il figlio Alessandro. «Almeno le sue partite riesco a vederle senza problemi» scherza prima di ripercorrere questa lunga storia di famiglia.
Cosa si prova a vedere un figlio vincere due mondiali?
«È stato bellissimo. All’inizio c’era scetticismo, le premesse non erano ottime e avevamo un calendario tremendo. Poi abbiamo fatto un percorso straordinario e me lo sono goduto anche io, da papà e da tifoso».
Prima le sue vittorie, poi quelle di Alessandro. Crede nel Dna?
«La genetica probabilmente c’entra anche se non so quanto. Io sono alto 1.96, mia moglie 1.70. Ale è arrivato a 2.11. Poi certo, il contesto aiuta. Ale è nato a Desenzano quando io ancora giocavo ed è venuto in palestra fin da piccolissimo. Abbiamo una foto di lui in spiaggia da bambino che fa un bagher perfetto, sembra nato per stare in campo».
In palestra ha conosciuto anche sua moglie Eleonora Cavalieri, giocatrice pure lei.
«Io sono nato a Treviso perché in quel periodo i miei genitori, veneziani, lavoravano lì. Eleonora invece è mantovana. Ci siamo conosciuti a Parma: studiava all’università, giocava a basket in serie A2 e si allenava vicino a noi».
La prima figlia è Francesca, oggi 28enne.
«Ha girato tante squadre e ha giocato anche due stagioni in A1, a Trento e Vallefoglia. Ora è a Brescia in A2, nel frattempo si è laureata in Ingegneria e sta continuando con la magistrale in Data science».
Poi è arrivata Annalisa, 25 anni.
«Anche lei ha giocato in A2 con il Trentino, adesso è in serie C a Torrefranca che è una società di Trento. Ha scelto un percorso universitario in conservazione dei Beni culturali, si sta laureando alla magistrale».
Di Alessandro si è già detto moltissimo. Ma ad un campione del mondo si possono dare ancora consigli tecnici?
«Ho sempre cercato di evitare, ha avuto tanti bravi allenatori ed è giusto che ci pensino loro. Io mi sono sempre occupato più della parte motivazionale e di educazione. E poi che consigli potrei dare ad uno schiacciatore come lui? Io non sono mai arrivato a schiacciare da quell’altezza…».
L’ultimo è Andrea, 17 anni e uno sport diverso: gioca a calcio e fa l’attaccante.
«All’inizio le ragazze facevano danza e i ragazzi calcio, perché quando hai 6 anni non puoi già giocare a pallavolo. Mentre Ale a 13-14 anni ha scelto la pallavolo forse perché si era stancato di correre, Andrea è rimasto attaccato al calcio. È stato bravo e fortunato. È nel settore giovanile dell’Atalanta da quando ha 14 anni. Siamo felici possa vivere questa esperienza, poi quel che viene viene…».
Riesce a seguire le partite di tutti?
«Le partite in streaming aiutano e il fatto che Ale giochi nella squadra per cui lavoro toglie almeno una casella. E c’è stata una stagione, il 2022-2023, in cui lui giocava al Trentino e le due ragazze anche. Fantastico».
In casa quanto si parla di pallavolo?
«Le ragazze si confidano soprattutto con la mamma, che è quella che dice le cose dirette in faccia. Io sono più per la pacca sulla spalla. Ma cerchiamo di non parlare troppo di pallavolo, staccare è importante».
I consigli più ricorrenti che ha dato negli anni?
«Godersi il momento, pensare alla quotidianità, farsi scivolare addosso certe sconfitte e certe situazioni. Essere sempre educati e rispettosi dell’avversario».
Valori trasmessi anche da un tifoso speciale, nonno Flavio.
«Mio papà ha 86 anni e non si perde una partita. È nato a Spinea, alle porte di Mestre, e ha gestito negli anni Settanta diversi cinema: l’Edera a Treviso, l’Eden a Chirignago e il Capitol a Carpenedo, prima di buttarsi nel ramo immobiliare. Ora se vai a casa sua e lo fai a parlare di pallavolo, non smette più. Ha tutte le foto e tutti i ritagli di giornale».
Quanto è difficile riunirvi tutti assieme?
«Lo abbiamo fatto subito prima del Mondiale per i 60 anni di matrimonio dei miei genitori, mancava solo Alessandro. Vedersi è difficile perché quando riposa uno gioca l’altra o l’altra ancora, ma siamo sempre uniti».
Riccardo saluta, ringrazia, riattacca. C’è una partita da guardare in famiglia.