Gli artisti che abbiamo citato non hanno bisogno di presentazioni, mentre è doveroso presentare i protagonisti della raccolta d’arte da cui provengono le opere esposte a Padova fino al 25 gennaio 2026 nelle sale dello splendido Palazzo di proprietà della famiglia Bano, dal 1997 sede di grandi mostre d’arte moderna.
La mostra “Modigliani Picasso e le Voci della modernità dal Museo LaM” nasce dalla collaborazione col LaM, Lille Métropole Musée d’ art moderne, d’art contemporain et d’art brut, che – come ricordato dal suo direttore Sébastien Faucon – sta osservando un periodo di chiusura che terminerà nel febbraio del prossimo anno. Questa circostanza ha consentito di far conoscere una parte della collezione nel mondo, e quella padovana è una delle ultime tappe di questo tour.
Il museo di Lille ha una storia ancora piuttosto breve, essendo nato nel 1983, ma ha un elemento di grande originalità: è uno dei pochi in Europa e l’unico in Francia che fonde l’Art Brut (termine coniato nel 1945 dal pittore francese Jean Dubuffet per definire l’arte autodidatta, a partire da quella prodotta da persone cha hanno sofferto di disagi psichici o psicologici) e l’arte moderna e contemporanea. Le opere presenti a Padova, pur rappresentando solo una piccola parte delle collezioni, rispecchia questa peculiarità, e lungo il percorso espositivo si trovano rappresentate le diverse anime del museo francese, con l’eccezione dell’arte contemporanea.
Una foto dell’abitazione di Jean Masurel. Si riconoscono alcuni quadri di Picasso, Braque e Modigliani
Prima di scendere nel dettaglio di come è strutturata l’esposizione a Palazzo Zabarella, vogliamo dare alcuni elementi storici sui lasciti che vengono oggi conservati e valorizzati dal LaM. La parte relativa all’arte moderna e contemporanea origina da un lascito di Jean Masurel (1908-1991) e della moglie Geneviève, che nel 1979 donarono una larga parte della loro collezione alla città di Lille (più precisamente alla Communauté urbaine de Lille). Il nucleo originale della collezione risaliva a Roger Dutilleul (1872-1956), di cui Jean Masurel era nipote (figlio della sorella minore), che nei primi anni del Novecento ebbe la lungimiranza di essere tra i primi sostenitori e collezionisti di Amedeo Modigliani (per cui posò anche per un ritratto), oltre che di Picasso, Braque, Léger e altri, in anni in cui la generazione precedente di artisti aveva già raggiunto prezzi fuori dalla sua portata. Ancor prima che Roger Dutilleul lasciasse in eredità al nipote la maggior parte della sua collezione, Jean Masurel, giunto a Parigi dopo essere cresciuto nel nord della Francia, diede vita ad una propria raccolta, a partire dagli stessi artisti apprezzati dallo zio, ma estendendola anche alla pittura astratta e sostenendo artisti locali del nord della Francia, tra cui artisti autodidatti, alcuni dei quali troviamo rappresentati anche in questa mostra.
Fu Dutilleul a scegliere come luogo destinatario della sua donazione l’area metropolitana di Lille, da dove proveniva, e, da amante della natura, a indicare che il luogo fosse circondato da un parco e aperto all’arte contemporanea. L’acquisizione del museo LaM relativa all’Art Burt è da ricondurre invece all’associazione L’Aracine (fondata nel 1982 da Madeleine Lommel, Claire Teller e Michel Nedjar), che nel 1999 donò al museo una notevole collezione comprendente diverse opere come disegni, dipinti, assemblaggi, oggetti e sculture di oltre 170 artisti francesi e stranieri riconducibili all’Art Brut. Da notare infine che alcune delle opere che sono presenti anche a Padova provengono dal Centre Pompidou.
L’ingresso al percorso espositivo accoglie il visitatore in una prima sala dedicata al Cubismo in cui spiccano i paesaggi e le nature morte di Braque e Picasso degli anni 1908-1910. L’interesse per questi due allora giovani artisti da parte di Roger Dutilleul derivava in realtà dalla sua grande passione per Cézanne (morto nel 1906), di cui però non poteva permettersi di acquistare i quadri. Egli trovò nella prima espressione cubista di Braque e Picasso la stessa tavolozza di colori e l’influenza della geometrizzazione dei volumi che nelle loro opere diventano forme. Dutilleul divenne così uno dei primi collezionisti francesi d’arte cubista…. leggi il resto dell’articolo»
Tra i dipinti di Georges Braque (Argenteuil, 1882 – Parigi, 1963) troviamo “Case è albero” del 1908, riconducibile a una prima serie di paesaggi che dipinse nel sud della Francia, dove la forte impronta di Paul Cézanne è ancora molto evidente, sia nei colori dei suoi paesaggi mediterranei, che nel modo di semplificare le forme, riducendole a volumi geometrici. Interrotte in alcuni punti, le linee di contorno permettono al colore di passare da un oggetto all’altro, dando l’impressione di una massa indistinta che si inclina verso lo spettatore. Uno stile simile si ritrova anche in La Roche-Guyon del 1909, prima che, nel 1910-11, Braque e Picasso passassero a rappresentare oggetti scomposti in diverse superfici giustapposte le une alle altre, come se fossero visti da più angolazioni contemporaneamente (fase analitica). Di questa seconda fase, in mostra possiamo ammirare il dipinto Le Fabbriche Rio Tinto a l’Estaque, del 1910, e il Sacro Cuore di Montmartre, dello stesso anno.

Modigliani Picasso, Palazzo Zabarella, foto dell’allestimento con opere di George Braque
Dell’esordio cubista di Picasso troviamo invece tre nature morte del 1909, prima di incontrare Strumenti musicali e teschio del 1914, successivo quindi alla transizione alla cosiddetta fase sintetica del cubismo, dove degli oggetti si mantengono solo alcuni elementi distintivi: le lettere di un giornale o le corde di una chitarra, sparsi liberamente su superfici più o meno decorative, che spesso imitano i motivi di papiers collés, quindi di carte da parati, spartiti, o finte venature di legno. A chiudere la sala, un altro salto in avanti nell’evoluzione della pittura di Picasso, con Donna con cappello, un olio su tela, 73×60 cm, dipinto nel 1942.
Dopo il Cubismo, nella seconda sala troviamo la personale variazione di Fernand Léger (Argentan, 1881 – Gif-sur-Yvette, 1955), denominato “Tubismo”, che rispetto a Braque e Picasso aggiunge colori vivaci e tratti neri marcati a delineare le forme. Partiamo quindi da Donna sdraiata del 1913, che denota la sintesi di diverse influenze da Cubismo, Futurismo ed arte astratta, dove il riferimento alla donna sdraiata è solo un pretesto per la fitta articolazione di forme cilindriche delimitate da linee rette e curve, in una composizione che vuole esprimere il dinamismo della nascente modernità. Risulta infatti difficile distinguere una diversità di forme nel successivo dipinto Paesaggio del 1914.
Più tarde sono invece le figure de Il meccanico o Donna con mazzo di fiori, rispettivamente del 1918 e 1924.
Prima di proseguire verso la grande sala dedicata a Modigliani, troviamo anche un Paesaggio Urbano dipinto nel 1921 da Léopold Survage (Mosca, 1879 – Parigi, 1968), pittore russo naturalizzato francese di origine finlandese, che fu ritratto nel 1918 dallo stesso Modigliani, con cui condivise lo studio a Parigi, e due opere di Henri Laurens (Parigi, 1885 – 1954), tra cui un’interessante scultura di impronta cubista del 1919.
Giungiamo quindi alla grande sala centrale, un tempo la sala dal ballo del Palazzo, dove ci accoglie un testo introduttivo dal titolo “Un museo personale: Amedeo Modigliani“. Roger Dutilleul ha la fortuna di incontrare Modigliani in vita, nel 1913, a Parigi, dove l’artista livornese si era trasferito nel nel 1906. Inizialmente dedito alla scultura, poi abbandonata a causa della sua salute cagionevole, Modigliani sviluppa uno stile molto personale incentrato esclusivamente sulla figura umana: ritratti e nudi costituiscono infatti la quasi totalità delle sue opere. Il suo intento era quello di fondere in una sorta di figura ideale il retaggio di diverse culture: l’antichità greco-romana ed egizia, il Rinascimento italiano, la statuaria Khmer, l’arte africana e la pittura moderna. Dutilleul ebbe modo di acquistare molti dei suoi ritratti di artisti e la collezione del LaM conserva anche un raro ritratto di famiglia di Jeanne Hébuterne, ultima compagna di Modigliani, con la figlia Jeanne. Si tratta della straordinaria Maternità, opera presente in mostra.

L’esposizione a Palazzo Zabarella ci regala anche l’opportunità di vedere anche un dipinto giovanile, del 1908, un Busto di giovane donna, con uno stile ancora lontano dai suoi ritratti della maturità, e in cui sono molto presenti le tonalità del blu, probabilmente sotto l’influenza del periodo blu di Pablo Picasso, anch’egli stabilitosi definitivamente a Parigi nel 1904. Splendido è il Nudo seduto con camicia, del 1917, che è stato scelto come immagine guida dell’intera mostra. In quell’anno Modigliani dipinse diversi nudi, presentati in occasione della prima mostra personale alla galleria Berthe Weill e visibili dalla vetrina. Le tele furono presto rimosse per lo scandalo che quei dipinti avevano suscitato, per essere molto lontani dall’idea di nudo idealizzato.
Anche in questi ritratti di figura, in cui è evidente il disinteresse verso una rappresentazione realistica, è molto visibile la sua impronta come scultore. Da notare le ciocche dei capelli che sono state delineate con incisioni nella vernice ancora fresca col manico del pennello. Ritroviamo poi i classici occhi a mandorla vuoti, in un volto tracciato con linee essenziali, che ricorda le maschere di Fang e Baoulé (maschere africane) che l’artista aveva visto nel museo del Trocadéro.
La sala dedicata a Modigliani è probabilmente il momento più coinvolgente dell’intero percorso espositivo. Non è infatti cosa di tutti i giorni poter osservare in Italia in una mostra temporanea una simile concentrazione di dipinti di tale qualità e intensità, appartenenti a fasi diverse della maturazione artistica di Modigliani, ma la mostra ci riserva ancora altri elementi di grande interesse.

Palazzo Zabarella, Foto allestimento, con opera di Gertrude O’Brady – Il chiosco
Con la sala successiva abbiamo modo di ammirare una serie di dipinti di artisti autodidatti, o naïf, termine francese che esprime il concetto di “ingenuo”), che ci introducono allo spazio dedicato più specificatamente all’Art Brut. Qui emerge la naturale continuità tra le opere raccolte e donate da Geneviève e Jean Masurel, e le donazioni de l’Arancine. Di Jean Dubuffet, promotore a partire dal 1945 della raccolta di opere fuori dai circuiti del mercato dell’arte, sotto la definizione di Art Brut, è presente in mostra un’opera del 1952, Pane filosofico, un dipinto che appare come una sorta di bassorilievo sulla tela, e singolari sono due “teste” in granito realizzate da Antoine Rabany (1844-1919), ex soldato e coltivatore dell’Alvernia, attribuite a questo autore solo nel 2018. Di forte impatto anche La giungla del croato Slavko Kopač (1913, Vinkovci, Croazia
– 1995, Parigi), che fu anche responsabile della collezione di Dubuffet a Parigi, oltre che attivo come pittore, scultore e ceramista.
Amanti dell’espressività del colore, senza limitarsi a seguire determinati filoni artistici, Geneviève e Jean Masurel collezionano anche opere di Joan Mirò, presente anche nella selezione inviata a Padova, in un interessante affiancamento con un’opera degli anni ’30 di Fernand Léger, insieme a opere di Francisco Borès (Madrid, 1898 – Parigi, 1972), a nature morte di Serge Charchoune (Buguruslan, Russia, 1888 – Parigi 1975), a dipinti di Eugène Nester de Kermadec (Parigi, 1899 – 1976), pittore legato all’esperienza cubista qui presente con opere della fine degli anni ’40 in cui dimostra la sua evoluzione più lirica e coloristica, con una grande libertà nella linea e nella struttura compositiva, solo per citare alcuni degli autori presenti.

Palazzo Zabarella, Foto allestimento con opera di Bernard Buffet – Donne nella loro toilette, 1953
Nella parte terminale del percorso espositivo, uno spazio particolare viene riservato a Bernard Buffet (Parigi, 1928 – Tourtour, 1999), pittore francese, esponente dell’Espressionismo e membro dell'”Anti-Abstract Art Group”. Impossibile non farsi coinvolgere dalla sua monumentale tela del 1953, Donne nella loro toilette, che fa parte di una serie di cinque opere esposte alla Galerie Drouant-David nel febbraio 1954. La tavolozza di colori utilizzata da Buffet è piuttosto cupa, cosa che viene apprezzata da Roger Dutilleul, che ne riconosce un’affinità con «mezzi antichi, pompeiani, egiziani e forse anche assiri», e che conferiscono alla rappresentazione un carattere austero. Sulla parete opposta, un’altrettanto forte rappresentazione di una lapidazione, un olio e matita su tela di grandi dimensioni del 1948.
Di forte impatto anche il Busto di Cristo in croce, caratterizzato da una pittura molto materica in una figurazione quasi informale, di Eugène Leroy (Tourcoing, Francia, 1910 – Wasquehal, Francia, 2000), e nell’opera completamente informale del 1982 “I cieli si aprirono”.
Giunti al termine del percorso espositivo, possiamo affermare che la mostra di Palazzo Zabarella offre un excursus nella storia dell’arte del Novecento ben più ampio e articolato di quanto il titolo, che comprensibilmente mette in risalto i nomi più celebri, lasci intendere. Il filo conduttore di questo racconto è la passione – insieme al gusto personale – di Roger Dutilleul e di Geneviève e Jean Masurel, ma ciò che ne emerge è una collezione capace di abbracciare alcuni dei momenti più significativi dell’evoluzione dell’arte moderna, in particolare di quella sviluppatasi a Parigi e in Francia.
Per maggiori dettagli sulla mostra e sulle modalità di visita, invitiamo a prendere visione anche della scheda dell’evento.