Il bilancio della nazionale italiana paralimpica ai mondiali su pista di Rio de Janeiro è di gran lunga il migliore mai conseguito dal nostro movimento. Con 4 medaglie d’oro, una d’argento e 2 di bronzo l’Italia si è assestata al terzo posto nel medagliere, quando fino a pochissime stagioni fa eravamo completamente assenti dai vertici. Se i piazzamenti sono tutti ad opera dei tandem, il poker dorato è tutto di Claudia Cretti, che in terra brasiliana si è presa una grande rivincita non solo sulle recenti esperienze, ma sulla vita.
E’ l’approdo di un lungo percorso, che in quella maledetta giornata del Giro Rosa 2017 non s’interruppe con il terribile incidente e i giorni di coma in ospedale, con la lunga rieducazione, ma anzi fu proprio allora che iniziò la sua rinascita, facendone uno dei grandi personaggi del ciclismo paralimpico. Non è stato facile, ci sono stati anche momenti bui e delusioni come il 4° posto nell’inseguimento a Parigi 2024 e la rabbia per l’andamento degli ultimi mondiali su strada, ma tutto è servito per arrivare all’apoteosi.


Tornata a casa dalla lunga trasferta brasiliana, Claudia si è ritrovata quasi travolta da un’ondata di popolarità perché pian piano anche lo sport paralimpico guadagna la ribalta, non solo nei giorni a cinque cerchi. Un trionfo che non si aspettava: «Volevo tornare a casa con qualcosa di concreto, puntavo tutto sullo scratch, ma ad esempio il chilometro da fermo era la prima volta che lo facevo. Invece mi riusciva tutto al meglio».
La gara del chilometro è stata quindi la più difficile?
Quella più inaspettata. A Parigi avevo fatto i 500 metri, ma partendo sono un po’ lenta, invece dopo spingo forte come anche nell’inseguimento. Rivedendo la mia gara, a metà sarei stata seconda o terza, invece gli ultimi 500 metri sono stata la più forte. Ottenendo per due volte il record del mondo.


Dove allora hai sofferto di più?
La velocità ero abituata a farla quando competevo nell’omnium. Nello sprint è stata più dura la semifinale, con la russa che ha fatto lo scatto proprio appena partite e l’ho raggiunta e battuta in volata, lei e la canadese. Nella finale contro la Murray ero un po’ preoccupata perché anche lei è veloce, ma l’ho gestita molto bene, standole a ruota fino all’ultimo giro. Lì è stato fondamentale l’apporto di Fabio Masotti…
Perché?
Mi ha detto quando dovevo partire e far la volata. Infatti sono riuscita a scattare nel lato opposto dell’arrivo e superarla nel migliore dei modi. Quindi anche quella è stata una sorpresa, ma soprattutto per il nome e il prestigio della battuta. Tornando alla prima domanda, la gara più difficile per me è stata l’ultima, lo scratch con la polacca che è partita quando mancavano 6 o 7 giri alla fine. E io ero nel gruppo, ci guardavamo e tra l’altro pensavo che qualche mia avversaria partisse perché erano due argentine, australiane, due della Nuova Zelanda. Pensavo che si sarebbero messe d’accordo per andare, una va a prendere la fuga e l’altra fa la volata.


Come ne sei uscita fuori?
Non nascondo che mi stavo innervosendo e temevo di perdere tutto. Addesi e Masotti però mi dicevano di aspettare e partire secco a 5 giri dalla fine. Ero un po’ indecisa, ma poi ho detto «sì, vado a prenderla, anche se ce le avrò tutte a ruota». Quando sono partita mi sono ritrovata presto sola, ai -3 ho detto che era il momento di prenderla con un grande sforzo. Sentivo la fatica salire lungo il corpo ma mi dicevo di non mollare. Quando è suonata la campana dell’ultimo giro mi sono mentalizzata: «Claudia, hai vinto il chilometro, qual è la differenza? Ce la fai a andare a tutta?». Così ho pedalato, pedalato, pedalato. L’ultimo giro è stato il più difficile perché era un po’ volata, un po’ inseguimento, ma alla fine l’ho presa.
La cosa più bella di questa trasferta?
Potreste pensare che sono le vittorie, ma per me c’è qualcosa che vale di più: tutte le avversarie, a ogni gara diversa, sono venute lì ad abbracciarmi e stringere la mano e dire che ero la più forte e me la meritavo.


Anche la Murray che per quattro volte ha dovuto mandar giù il boccone amaro?
Sì, anche lei dopo la finale della velocità era tutta sudata e distrutta. E’ venuta da me e ci siamo abbracciate e mi ha fatto i complimenti. L’anno scorso succedeva il contrario, Murray prima o seconda e io seconda o terza dietro di lei.
Questo salto di qualità a che cosa si deve?
Devo dire grazie a Pierpaolo Addesi che sin da tre anni fa mi diceva «Claudia, se mi segui, tu da oggi in poi puoi vincere tutte le gare a cui parteciperai». Io nel 2023 ero un po’ indecisa su queste cose, all’estero vanno più forte di me e a raggiungere il loro livello e a vincere mi sembrava quasi impossibile, però seguendo i suoi allenamenti, i suoi consigli e dando il massimo in ogni tipo di preparazione, sia in pista che strada quest’anno, i risultati sono arrivati.


Proprio Pierpaolo diceva al tempo dei mondiali su strada che non era stato tanto semplice per te quel periodo…
Eh, mi sono molto arrabbiata a Ronse, è andato tutto storto. La crono l’ho fatta così per riscaldamento, puntavo tutto sulla strada perché mi sentivo la più veloce, mi dicevo che non mi avrebbero staccato di un centimetro… Alla partenza non mi saliva il rapporto più duro, quindi sono andata lì alla partenza con tutti i meccanici che cercavano di modificare il rapporto e il cambio. Alla fine mi hanno dovuto adattare la bici di Giancarlo Masini e già ero nervosissima. Al secondo giro ho alzato la mano per chiedere assistenza della Shimano di scorta, ma eravamo un gruppetto ristretto e la macchina era lontana, quindi sono dovuta scendere dalla bici, aspettare la Shimano, abbassarmi la sella e poi in un gruppetto ho tirato un po’ per recuperare, col risultato che dopo tre giri ho spinto troppo e mi si è spaccata la catena. Ero fuori di me, poi mi sono detta: «Mi rifarò a Rio perché sono forte, sono preparata bene». Sono riuscita a dimostrare chi ero. La voglia di riscatto che avevo, tutta questa rabbia che avevo accumulato dentro sono state la mia benzina…
E’ chiaro che manca ancora tanto tempo, ma con un biglietto da visita del genere adesso non si può non pensare a Los Angeles…
Infatti parlando con Addesi e Masotti già ci siamo detti che questo è un punto di partenza. Ora bisogna mantenere questa andatura e migliorare in tante cose, perché l’appuntamento vero è quello.