L’arte invade la città con la sua bellezza e crea grandi emozioni. A destare particolare entusiasmo, negli ultimi giorni, è stata in particolare un’opera, “Il Pavimento” di Nicola Montalbini. Ideato per Porta Adriana, questo grande mosaico ha subito catturato l’attenzione di tantissimi ravennati, diventando in qualche modo il protagonista ‘a sorpresa’ della Biennale di mosaico contemporaneo. Un pensiero, tuttavia, scuote la comunità già affezionata all’opera. Il fatto che questa debba, in teoria, essere solo temporanea. Il piano, infatti sarebbe quello di tenere esposto “Il Pavimento” fino al 18 gennaio.

Ma quest’opera “punk” (come il suo stesso ideatore la definisce), piena di animali, mostri e simbologie, ha ormai conquistato il cuore di tantissimi cittadini, che ora reclamano a gran voce di poterla tenere lì per sempre. Un mosaico pavimentale che, secondo molti, darebbe nuovo lustro a Porta Adriana, grande ingresso del centro storico, sul quale negli anni non sono mancati progetti di riqualificazione. RavennaToday ha intervistato il creatore del Pavimento, il 39enne ravennate Montalbini, per svelare aneddoti su passato, presente e futuro di quest’opera.

Montalbini, il suo mosaico Il Pavimento sta avendo grande successo in città. Si aspettava tanto entusiasmo per la sua opera?
È una cosa che mi ha travolto. L’opera è stato frutto di una di una mia idea e di un lavoro di squadra davvero molto intenso e affiatato, perché l’idea è mia, poi ho avuto il supporto di Marco Santi e del gruppo mosaicisti, l’ha curato Eleonora Savorelli dell’associazione Marte con Daniele Torcellini. Ho avuto a disposizione i tirocinanti dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Quindi si era creato un clima da bottega antica. Il lavoro è stato molto lungo perché fra ideazione e realizzazione ci sono voluti due anni. Quindi è un pezzo di vita. E tra l’altro proprio giovedì è stato l’anniversario del primo disegno che ho fatto del pavimento. Quindi prima di tutto c’è il lavoro della squadra che è stato fondamentale, perché una cosa così da soli non la non la si può fare. Per quel che mi riguarda, è da quando sono bambino che studio i mosaici pavimentali e li vado a vedere in giro per il mondo e per l’Italia. In questo lavoro ho cercato di trasferire quello che io provo davanti ai mosaici pavimentali, mettendoci anche storie di Ravenna, una sorta di enciclopedia del mosaico antico, un po’ della mia vita. E questa cosa si sente probabilmente, risuona. Tenendo conto che è un lavoro che ho pensato per uno spazio pubblico, ho cercato di mettermi nell’ottica di idee, era un lavoro destinato a una comunità.

Come è nata l’idea della sua opera?
Io attorno al mosaico ci giro da quando ero bambino. Però a Ravenna i mosaici sono tutti alle pareti. Il grande assente della città sono i pavimenti. Ci sono, ma sono frammentari, oppure sono scoperte recenti come la Domus dei Tappeti di pietra. Quindi quando ero nel laboratorio di Marco Santi più di due anni fa ho avuto l’occasione di imbattermi in dei mosaici che stavano restaurando che provenivano da Aquileia. Lì per lì sono rimasto un po’ scioccato. Quindi sono andato ad Aquileia. Negli ultimi due anni ci sono andato più di 50 volte, perché avevo bisogno di confrontarmi con questa enorme superficie musiva calpestabile che è il grande assente, il grande alieno della nostra città. Durante uno di questi viaggi, ho pensato: Ma se io adesso facessi il pavimento a casa che cosa potrebbe accadere? L’ho anche presa come un’operazione estremamente punk. Perché fare un pavimento a Ravenna dove i pavimenti si inabissano per la subsidenza è un atto quasi rivoltoso.

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All’interno del grande mosaico, vi sono vari personaggi e simboli. Vari animali, una sirena, ma anche alcuni elementi architettonici e persone. Può rivelarci qualche aneddoto dietro alle figure rappresentate?
C’è un enorme unicorno che sta brucando i fiori rossi che sono tipici delle absidi a Ravenna. Quell’unicorno l’ho preso e modificato dalla Basilica di San Giovanni Evangelista, dove sono gli ultimi mosaici pavimentali (a livello cronologico, ndr) noti della città. Idealmente è stato come un riprendere un discorso che si era interrotto 800 anni fa. Una delle figure al centro è quell’uomo gatto col gelato in mano che mette il suo nome ‘Mario’ dentro al campanile. Quello è un è un episodio biografico, legato a mio nonno che è stato un grande gelataio assieme a mia nonna (avevano la Gelateria Mario a Punta Marina, ndr). Lui a 15 anni era garzone della Cmc e stavano restaurando la Basilica di San Giovanni Evangelista, che era stata bombardata. Mentre facevano la punta del campanile, che si era sbeccata, facendo la colata di cemento, lui ci ha buttato dentro una scatolina di latta con dentro un foglio con scritto il suo nome. Poi c’è la sirena: la forma con le braccia spalancate l’ho presa da uno dei pochi mosaici al mondo dove ci sono le sirene, nella cattedrale di Pesaro. È uno dei miei mosaici preferiti. La sirena rappresenta un po’ la nostra città. Come la sirenetta rinuncia alla vita acquatica e diventando una creatura di terra ferma perde la sua voce, così Ravenna da quando ha perso il suo legame col mare e non ha più i fiumi che la dividono in isole ha perso la sua intonazione originaria. Altro dettaglio biografico: la sirena si chiama Elettra perché quando io ero nella pancia di mia mamma tutti pensavano che fossi una femmina. E mi sarei dovuto chiamare Elettra. Tra l’altro, i miei nonni abitavano in Via delle Sirene a Punta Marina e io, da bambino, mi facevo vestire da sirena facendomi fare la coda con il piumone del letto. Di fatto la sirena è come se fosse la firma. È tutto così. Ho cercato di unire il livello autobiografico con la memoria collettiva della città e prelevando anche figure da tutti i mosaici medievali e romani a cui ero più affezionato.

Perché Porta Adriana?
Perché è un lavoro proprio pensato per quel luogo. L’ho scelto perché si intreccia anche con l’altro lavoro che faccio nella vita: la guida turistica. Quindi il mio lavoro è anche quello di introdurre la città. E come luogo privilegiato, avevo bisogno di una porta che fosse un portale di passaggio e che introducesse la città stessa. Porta Adriana sicuramente aveva queste caratteristiche. È il vero e proprio ingresso della città. E la misura che ha il lavoro, cioè il fatto che occupi lo spazio fra i due archi e non sia tutto il pavimento, è stata una scelta che ho fatto per evitare che sembrasse un semplice pavimento quadrato, adattabile a tutti i luoghi. Invece è fatto e pensato unicamente per quel luogo lì.

Nel corso dell’installazione, il mosaico è stato trasportato a Porta Adriana a pezzi grandi come tappeti, poi assemblato. Le tessere su cosa sono fissate?
Le tessere su cosa sono fissate in effetti? Le tessere sono su una malta che ha grande elasticità. Noi abbiamo realizzato il mosaico intero in studio e poi l’abbiamo diviso in sezioni per poterlo trasportare meglio, perché non ci è stato possibile farlo in loco. Inoltre dovevamo onorare l’esigenza della rimovibilità del mosaico.

In tanti (fra cui le liste Viva Ravenna e La Pigna) ora chiedono che la sua opera possa diventare permanente. Lei cosa ne pensa?
Ho pensato quell’opera non credendo che scatenasse da subito un affetto del genere. Vedere alcuni esercenti che hanno i negozi di fianco alla Porta che lo spazzano tutte le mattine vuol dire che lo sentono come una cosa loro. E quindi se la città andrà nella direzione di muoversi per tenerlo, chi sono io per contraddire la città? Però non mi espongo in merito. Ho fatto questa opera in maniera molto affettuosa, con un dispendio di fatica enorme, è un lavoro di squadra di cui sono felicissimo, però il resto sono decisioni della comunità.

Se il Comune le proponesse di rendere la sua installazione permanente quindi accetterebbe?
Sì, mi darebbe una grande gioia, soprattutto perché sarebbe un modo per la città di dire: voglio questa cosa che hai fatto. Però non voglio imporre alcuna decisione.

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In caso contrario cosa accadrebbe al mosaico dopo il 18 gennaio?
In quel caso verrebbe smontato e tecnicamente tornerebbe nel mio studio.

Quali problemi ci potrebbero essere nel mantenere l’installazione sul lungo periodo? Sarebbe necessaria una manutenzione periodica?
È un mosaico pavimentale, quindi per sua natura è molto resistente. È fatto per resistere. Infatti, i mosaici pavimentali sono praticamente eterni. E quel lavoro lì ha una garanzia di durabilità e di esecuzione a regola d’arte, perché mi sono affiancato alla bottega più grande e storica della città, che è il gruppo Mosaicisti.