di
Arianna Ascione
Identificata dal pubblico come una «dumb blonde», bionda stupida, la «rivale» di Marilyn parlava cinque lingue e suonava pianoforte e violino. I tre divorzi e il segreto mai rivelato nel documentario della figlia
«Penso che se hai figli il tuo primo obbligo sia verso di loro, che tu sia una star del cinema o che lavi i piatti. Se dovesse succedere qualcosa alla mia carriera, se fossi coinvolta in un incidente stradale, se il mio viso rimanesse sfregiato, se perdessi le gambe, i miei figli sarebbero sempre accuditi». Queste parole, pronunciate in vita da Jayne Mansfield, suonano quasi come una tragica premonizione. L’attrice, star e sex symbol dell’età d’oro di Hollywood, morì a soli 34 anni il 29 giugno 1967 in un terribile incidente stradale.
Sui sedili posteriori dell’auto al momento dello schianto viaggiavano anche i suoi tre figli, che si salvarono. Tra loro Mariska Hargitay, oggi attrice affermata (nota per il suo ruolo di Olivia Benson in Law & Order: SVU, oltre che vincitrice di Emmy e di un Golden Globe), che al momento della scomparsa di sua madre aveva appena 3 anni.
Per dare una risposta alle domande che da tempo si pone sulla «vera Jayne» (che di fatto non ha mai conosciuto), dopo aver tenuto per decenni lontana da sè la Jayne Mansfield diva, Mariska ha deciso di intraprendere un viaggio alla ricerca della verità, raccontato in «My Mom Jayne», documentario disponibile su Sky e Now.
Bionda sexy, chiacchierata e desiderata
Mariska Hargitay era troppo piccola al momento dell’incidente per riuscire a conservare ricordi di com’era sua madre Jayne Mansfield nella vita quotidiana, lontana dai riflettori e da quel mondo dorato del cinema che le ha regalato sì una popolarità straordinaria, ma che poi ha finito per ingabbiarla in un ruolo da cui – a un certo punto – ha tentato disperatamente di liberarsi (senza successo).
L’unica immagine di Jayne Mansfield con cui la figlia si è a lungo rapportata è quella della bionda sexy, donna chiacchierata e desiderata da tutto il mondo. Anche perché il padre l’ha sempre invitata a non leggere i libri che venivano pubblicati su sua madre, a suo avviso «pieni di bugie»,
«Ho iniziato a provare molta vergogna per la sua immagine di sex symbol e per tutte le scelte che ne derivavano – racconta Hargitay nel documentario -. Così ho allontanato sempre di più l’idea di mia madre dalla mia vita». Solo più avanti, racconta, «ho capito che volevo riavvicinarmi a lei: non alla Jayne Mansfield sex symbol ma solo a Jayne».
Chi era Jayne Mansfield
Jayne Mansfield, all’anagrafe Vera Jayne Palmer, è nata a Bryn Mawr, in Pennsylvania, il 19 aprile 1933. La sua infanzia è stata dolorosa, segnata da un terribile lutto: a 3 anni ha perso il padre in un incidente stradale (scherzo del destino: anche lei, come sua figlia Mariska diversi anni dopo, era a bordo dell’auto ma si salvò).
Si è sposata giovanissima, a 17 anni in Texas – dove si era trasferita da diversi anni con la sua famiglia – con Paul Mansfield, e dopo pochi mesi è diventata mamma della piccola Jayne Marie. Ma il ruolo di moglie e mamma le è sempre stato stretto. Fin da piccola Jayne ha coltivato il sogno del cinema: determinata a diventare un’attrice per farsi notare ha iniziato a partecipare a concorsi di bellezza. Ha anche frequentato corsi di recitazione, prima in Texas poi a Los Angeles dove si è trasferita nel 1954 con la sua famiglia. Suo marito Paul (descritto da Jayne Marie come un uomo molto religioso) non ha mai condiviso le ambizioni della moglie. Così il matrimonio è andato presto in frantumi.
Nascita di un sex symbol
Nel 1954 Jayne Mansfield è stata notata da un agente, che le ha procurato diverse audizioni. Tra queste quella con Milton Lewis, direttore dei casting dei Paramount Studios, a cui si è presentata con un monologo tratto da Giovanna d’Arco. Lui – come ha raccontato l’attrice in un’intervista – le ha detto senza troppi giri di parole che stava sprecando «il suo ovvio talento». Su suggerimento di un altro casting director Mansfield si è schiarita i capelli e ha reso la sua immagine molto più sexy.
La trasformazione ha presto portato i suoi frutti: nel 1955 – anno in cui si è separata da suo marito Paul – Jayne ha posato per Playboy e ha ottenuto il suo primo ruolo in un film («L’adescatrice/Female Jungle» di Bruno VeSota). Sono seguite altre pellicole, ma è con lo spettacolo di Broadway di George Axelrod «Will Success Spoil Rock Hunter?» che sono arrivati il successo e la consacrazione come sex symbol. Jayne ha vestito i panni dell’affascinante Rita Marlowe, e per la sua interpretazione nel 1956 è stata premiata con il Theatre World Award.
L’amore con Mickey Hargitay
Proprio New York ha fatto da scenario all’incontro tra Jayne Mansfield e colui che sarebbe diventato il suo secondo marito, Mickey Hargitay. Originario dell’Ungheria, arrivato negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale con soltanto sette dollari in tasca, Hargitay ha iniziato lavorando in un circo. Si è poi dedicato al bodybuilding, collezionando diversi titoli tra cui quello di Mr Universo.
Grazie alla sua popolarità crescente è stato chiamato nella Grande Mela per lavorare con l’attrice Mae West in un suo spettacolo. Una sera, tra il pubblico, si è presentata Jayne Mansfield. I due si sono conosciuti al termine dello show, ed è stato amore a prima vista. Dopo il matrimonio, celebrato nel 1958, sono nati due figli: Miklós (1958) e Zoltan Anthony (1960). Con la nascita dei bambini la coppia si è trasferita in una grande villa tutta rosa, ribattezzata The Pink Palace, piena di animali (grande amore dell’attrice). Fiore all’occhiello l’enorme piscina a forma di cuore, realizzata dallo stesso Mickey.
Più fotografata di Marilyn
Alla fine degli anni Cinquanta Jayne Mansfield era sulla cresta dell’onda. Nel 1957 ha interpretato Rita Marlowe anche nell’adattamento cinematografico della commedia in cui aveva recitato a Broadway, «Will Success Spoil Rock Hunter?» (titolo italiano «La bionda esplosiva») di Frank Tashlin, e ha conquistato un Golden Globe come migliore attrice debuttante per «Gangster cerca moglie».
Fuori dal set l’attrice era la diva più fotografata di Hollywood: inaugurava negozi, partecipava ad eventi, incontrava i fan (e non rifiutava mai un autografo in segno di riconoscenza nei loro confronti). Era anche contesa dalle più importanti case di produzione. A spuntarla è stata la 20th Century Fox, che si è assicurata Jayne con un contratto di sei anni (in quel periodo infatti l’altra superstar bionda legata alla Fox, Marilyn Monroe, stava attraversando un periodo difficile).
Non solo una «bionda stupida»
«Uso la mia immagine da pin-up per mettere il piede nella porta, per così dire – ha detto una volta Jayne Mansfield intervistata dalla conduttrice televisiva Joyce Davidson a proposito della sua popolarità -, perché non è mai stata veramente la mia ambizione. La uso come mezzo per raggiungere un fine». Anche se avrebbe voluto cimentarsi con ruoli più drammatici (come il suo personaggio in «Fermata per 12 ore» di Victor Vicas, 1957) per diversi anni l’attrice ha inseguito la notorietà incarnando lo stereotipo della dumb blonde, la bionda stupida.
I figli, intervistati in My Mom Jayne, ricordano che Mansfield ha portato avanti a lungo il suo personaggio, sul grande schermo e nella vita pubblica: lo considerava un ruolo che, da attrice, era stata chiamata a recitare («era quello che volevano gli Studios»). Nella vita privata invece era una donna molto intelligente, parlava in modo fluente cinque lingue, inoltre sapeva suonare il pianoforte e il violino. Empatica e sensibile, nel 1957 è andata persino in visita ai soldati feriti della guerra in Corea. Inevitabile quindi, ad un certo punto, sentirsi prigionieri di una gabbia dorata.
La «Marilyn Monroe king-size»
«Sono pronta ad essere me stessa, per alcuni anni sono stata un’altra persona». Quando nel 1962 è morta Marilyn Monroe, la diva con cui era sempre stata messa a confronto (e per cui aveva una grande ammirazione) Jayne Mansfield ha provato a cambiare rotta. Voleva disperatamente che le sue qualità venissero apprezzate, voleva far capire che era molto di più dell’etichetta «Marilyn Monroe king-size» (come l’aveva pubblicizzata la Fox, con evidente riferimento alle sue forme).
Ma i tempi stavano cambiando e anche la sua carriera ha iniziato a risentirne. Nei primi anni Sessanta – complice anche un flop al botteghino – la Fox non ha rinnovato il contratto all’attrice. Inevitabili le ripercussioni del momento di crisi professionale sulla vita privata: nel 1963 è arrivato il divorzio da Mickey Hargitay.
Un anno dopo essere diventata nuovamente mamma – nel 1964 è nata Mariska – Mansfield si è sposata per la terza volta, con il regista Matt Cimber da cui nel 1965 ha avuto un altro figlio (Antonio Raphael Ottaviano). Un’unione – culminata con un altro divorzio nel 1966 – molto turbolenta. «Matt – dice in My Mom Jayne l’addetto stampa dell’attrice Raymond “Rusty” Strait, oggi quasi centenario – è stata la cosa peggiore che le sia capitata».
Un urlo, lo schianto, e poi il silenzio
Nella seconda metà degli anni Sessanta Jayne Mansfield ha iniziato ad esibirsi nei nightclub, con numeri di canto e ballo. Stava tornando proprio da uno di questi locali la notte dell’incidente: doveva andare a New Orleans, per partecipare ad un programma televisivo.
All’1.15 del 29 giugno 1967, all’altezza di Slidell in Louisiana, l’auto su cui l’attrice stava viaggiando insieme all’autista, al suo nuovo compagno (l’avvocato Samuel Brody, anche questo un amore infelice) e ai suoi tre figli che dormivano nei sedili posteriori (e che per questo si sono salvati), si è trovata davanti all’improvviso un autocarro. Il figlio di Jayne Mansfield, Zoltan, conserva ancora oggi ricordi quel terribile momento: un urlo, lo schianto, e poi il silenzio.
Un segreto custodito per oltre 30 anni
Dopo la morte della madre Jayne Marie, Zoltan, Miklós, Tony e Mariska hanno affrontato il loro lutto, per andare avanti e tornare a vivere. Ma quando ha compiuto 25 anni, Mariska è stata messa davanti ad un’altra prova: ha scoperto di essere figlia naturale del cantante Nelson Sardelli, con cui Jayne Mansfield ha avuto una relazione nel 1963 dopo il divorzio da Mickey Hargitay (con cui poi si era brevemente riconciliata, nonostante fosse incinta di un altro uomo, e Hargitay questo lo sapeva).
Scoprendo che quello che aveva sempre considerato suo padre non lo era, almeno biologicamente, Mariska si è sentita persa. Poi però ha iniziato a chiedersi se Sardelli fosse a conoscenza della sua esistenza. Così, dopo qualche anno, ha deciso di incontrarlo. Il suo padre biologico (oggi 91enne), che sapeva di lei, le ha spiegato che dopo la morte di Mansfield si era fatto da parte per non rovinare la stabilità appena riconquistata dalla figlia, insieme a Mickey Hargitay e alla sua nuova compagna.
Per fare pace con il proprio passato è necessario che tutto venga alla luce, e grazie al viaggio intrapreso in My Mom Jane Mariska Hargitay ha conquistato una nuova consapevolezza: «Ho passato 35 anni a cercare di nascondere quella storia per onorare mio padre (si riferisce a Hargitay, ndr), ma ho anche capito che a volte mantenere un segreto non onora nessuno».
26 ottobre 2025 ( modifica il 26 ottobre 2025 | 15:06)
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