Il dipendente ha causato un danno all’azienda? Il datore di lavoro non può agire in autotutela preventiva, trattenendo somme dalla sua busta paga come risarcimento del danno. È questo, sostanzialmente, il principio affermato dalla Corte di Cassazione in una recente pronuncia, la n. 26607, che ha la valenza generale di ricordare quale sia il percorso per punire chi abbia commesso un gesto con conseguenze negative per il luogo di lavoro.
Le relazioni aziendali, anche in caso di inconvenienti gravi, devono seguire precise regole. Scopriamo quali sono e che cosa ricordare di questa significativa decisione.
La vicenda, il danneggiamento e la reazione dell’azienda
Il percorso processuale nasce da un episodio di danneggiamento sul luogo di lavoro. Un dipendente del settore autotrasporto e logistica, con mansioni di magazziniere, aveva infatti compromesso il funzionamento di un muletto fornitogli per le attività quotidiane di carico e scarico merci.
Come ricostruito nel corso della disputa giudiziaria, l’azienda aveva reagito all’evento dannoso, ma lo aveva fatto non rispettando la sequenza degli atti prevista dalle regole in materia. Il datore aveva cioè:
- contestato formalmente l’incidente con un rimprovero scritto;
- trattenuto dalla busta paga del dipendente due importi distinti a titolo di risarcimento, pari a più di mille euro ciascuno.
Il punto è che la prima trattenuta dello stipendio era stata fatta prima che al dipendente fosse notificata la sanzione disciplinare del rimprovero. La seconda, invece, era intervenuta dopo l’invio del provvedimento scritto.
La disputa in tribunale e l’esito dei primi due gradi di giudizio
Il magazziniere non ha accettato di buon grado il comportamento dell’azienda e le ha fatto causa presso il giudice del lavoro. Qui, in primo grado, l’esito è stato negativo perché il magistrato non si è pronunciato favorevolmente. Meglio in appello, dove il giudice ha riformato la prima sentenza, accogliendo in modo parziale le sue richieste. Ha poi ordinato la restituzione della prima somma trattenuta, confermando però la legalità della seconda.
Per i giudici, la mancanza di una preventiva contestazione disciplinare non giustificava la trattenuta in autotutela. Ci sono le garanzie procedurali previste dallo Statuto dei lavoratori e dal Ccnl di riferimento e non possono essere aggirate da un’azione unilaterale di autotutela, da parte del datore di lavoro.
La società ha fatto ricorso in Cassazione, contestando l’interpretazione delle norme del contratto collettivo, fatta dal giudice d’appello. In particolare l’azienda evidenziava che il contratto collettivo permette al datore di trattenere somme in busta paga fino a 3.500 euro per compensazione di un danno, a prescindere dalla colpa grave o dal dolo del dipendente. Al contempo, in Cassazione l’azienda ha lamentato la mancata pronuncia sulla domanda riconvenzionale di risarcimento.
Il principio giuridico affermato dalla Cassazione
La pronuncia 26607/2025 della Suprema Corte si pone come conseguenza logica di quella dell’appello. Oltre a ribadire le conclusioni del secondo grado, i giudici di piazza Cavour hanno colto l’occasione per ricordare che ogni datore di lavoro, per far valere il risarcimento derivante da una violazione del dipendente – come un danneggiamento a beni aziendali – deve prima stabilire e comunicare la sanzione disciplinare. E lo deve fare sempre, senza alcuna eccezione, perché il contratto collettivo disponeva e dispone a riguardo.
Nella vicenda in oggetto non c’era alcun dubbio su come fossero andate le cose: l’azienda aveva trattenuto soldi anche prima del rimprovero scritto, violando le regole del corretto procedimento disciplinare. Quest’ultimo prevede una serie di garanzie per il dipendente, la contestazione per iscritto e il diritto di difesa al fine di dare le proprie giustificazioni, anche oralmente.
Respingendo il ricorso, la Corte ha così confermato che non basta che il Ccnl preveda la trattenuta risarcitoria dello stipendio. Quest’ultima va fatta dopo aver comunicato la sanzione al lavoratore. Ecco perché la Cassazione ha dichiarato illegittima la prima trattenuta in busta paga e ha respinto la domanda risarcitoria della società.
Che cosa cambia
La Cassazione ha riportato l’attenzione su un aspetto chiave delle relazioni aziendali, ossia il confine tra l’esercizio del potere disciplinare del datore e la tutela dei diritti retributivi del lavoratore. L’ordinanza dello scorso 2 ottobre dà indicazioni precise sulla giusta sequenza procedurale, da seguire quando si verifica un danno causato dal dipendente durante l’attività lavorativa. I casi sono innumerevoli. Pensiamo ad es. a un dipendente che, nella guida di un mezzo aziendale, urti accidentalmente un cancello e causi la rottura del portellone, oppure a un impiegato che, per disattenzione, danneggi un computer.
Anche se il dipendente ha effettivamente causato un danno – e la responsabilità è palese – l’azienda non può farsi giustizia da sola: deve rispettare i passaggi previsti dalla legge e dal contratto. Il fulcro della pronuncia sta nell’interpretazione del Ccnl autotrasporto merci e logistica, che fa dipendere l’autotutela risarcitoria del datore, con trattenuta di soldi dalla busta paga, dal preventivo esercizio del potere disciplinare, così come previsto dalle norme vigenti.
Ricordiamo che, nei rapporti di lavoro di ambito privato, una sanzione disciplinare (come un richiamo, una multa o una sospensione) diventa effettiva soltanto quando viene comunicata al lavoratore. Non basta che il datore decida – internamente e con il suo staff – di punire il dipendente: deve informarlo in modo chiaro e ufficiale, in modo da garantirgli un’adeguata difesa.
Prima ancora che una regola giuridica, si tratta di un principio di buon senso: nel rapporto di lavoro, l’autorità del datore non può mai tradursi in autotutela economica. Le regole procedurali servono a garantire equilibrio, trasparenza e rispetto reciproco, anche quando si verificano errori o comportamenti dannosi.