Prosegue lo sforzo globale per arrivare a un vaccino contro l’Hiv. Un virus che muta rapidamente, motivo per cui risulta difficile trovare una molecola che sia in grado di “addestrare” efficacemente il nostro sistema immunitario per combatterlo. Ma la ricerca va avanti, e i risultati di due studi appena pubblicati su Science Translational Medicine sembrano promettenti. Riguardano lo sviluppo di nuovi candidati vaccini a mRNA, che avrebbero prodotto una buona risposta immunitaria nei modelli animali e nei volontari umani che hanno partecipato ai due studi. Dal trial clinico di fase 1, quello che ha coinvolto gli esseri umani – guidato dalla Divisione di Vaccini e malattie infettive del Fred Hutchinson Cancer Center di Seattle – è inoltre emerso che le nuove molecole sembrano essere ben tollerate, ad eccezione di sette partecipanti su 108 (6,5%) che hanno sviluppato una forma di orticaria, diventata cronica in 5 casi. Serviranno comunque altri studi per valutare ulteriormente il profilo di sicurezza e l’efficacia.
L’intervista
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Indirizzare la risposta immunitaria contro il bersaglio “giusto”
Non è la prima volta che si tenta la strada dell’mRNA per quanto riguarda la ricerca di un vaccino contro l’Hiv, la stessa imboccata per lo sviluppo dei primi vaccini contro il Covid-19. Uno dei vantaggi principali di questo tipo di vaccini è la rapidità con cui possono essere testati e prodotti, spiegano gli esperti.
Diversi vaccini anti-Hiv attualmente in fase di studio sono basati su una proteina virale nota come Env, esposta sull’involucro (in inglese envelope) del virus. Tuttavia, si legge nei due nuovi studi, inoculare la forma già pronta di questa proteina attiva la produzione di anticorpi che riconoscono una porzione non raggiungibile di Env quando questa è inclusa all’interno del virus. In altre parole, il vaccino basato sulla forma solubile di questa proteina scatena una risposta immunitaria che rischia poi di non essere efficace contro il virus dell’Hiv, perché gli anticorpi prodotti riconoscono la porzione di questa proteina che nella realtà è “nascosta” all’interno del virus.
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Partendo da questa consapevolezza, gli autori – tra cui ricercatori della University of Washington, del La Jolla Institute for Immunology, della University of California San Diego e dello Scripps Research Institute e di Moderna Inc. – hanno testato due possibili vaccini a mRNA: uno fornisce alle cellule le informazioni per produrre la versione solubile di Env; l’altro, invece, fornisce le istruzioni per produrre una forma della proteina che si va ad inserire all’interno della membrana delle cellule. Questo secondo vaccino sembrerebbe essere il più promettente, poiché sarebbe in grado di stimolare la produzione di anticorpi che riconoscono la porzione “giusta” della proteina virale, ossia quella che risulta esposta anche quando è inglobata nell’involucro del virus.
Anticorpi sviluppati nell’80% dei casi
Come anticipato, uno dei due nuovi studi è stato effettuato su modelli animali, mentre l’altro ha coinvolto 108 volontari umani sani. Nei conigli e nei macachi la seconda versione del vaccino ha indotto una maggiore produzione di anticorpi neutralizzanti rispetto all’altra versione, riducendo il numero di quelli che riconoscono la porzione “sbagliata” (cioè nascosta) della proteina. Nei volontari umani ha infatti portato alla produzione di anticorpi neutralizzanti nell’80% dei partecipanti, mentre la prima versione ha prodotto la risposta solo nel 4% dei casi. La produzione di anticorpi neutralizzanti è stata valutata a sei mesi dalla terza e ultima dose di vaccino somministrata.
I risultati sembrano quindi promettenti e i partecipanti hanno tollerato bene i due candidati vaccini, ad eccezione dei casi di orticaria. Le ragioni alla base di questo effetto avverso al momento non sono note, ma si tratta comunque di un’informazione importante, da tenere in considerazione nel corso dei prossimi studi, hanno sottolineato gli autori.
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L’importanza di un vaccino contro l’Hiv
“Stiamo parlando di circa 40 milioni di persone positive all’infezione da Hiv nel mondo, un’infezione che miete milioni di morti ancora, sia nella popolazione adulta che in quella pediatrica, soprattutto nei paesi in via di sviluppo – spiega a Salute Barbara Ensoli, direttrice del Centro nazionale per la ricerca su Hiv/Aids dell’Istituto Superiore di Sanità – Quindi lo sviluppo di un vaccino efficace è fondamentale. La disponibilità di farmaci che limitano la trasmissione del virus ha portato a parlare sempre meno di questo, ma i farmaci, pur salvando milioni di vite, non eliminano il virus e devono essere presi a vita. Inoltre – prosegue – i farmaci e le profilassi pre-esposizione hanno dei costi che difficilmente possono essere affrontati dai paesi in via di sviluppo che ne avrebbero maggiormente bisogno, specialmente nel contesto attuale dei tagli che l’amministrazione statunitense ha messo in atto per quanto riguarda gli aiuti internazionali”.
Un altro punto su cui diversi gruppi di esperti a livello internazionale stanno lavorando è lo sviluppo di vaccini terapeutici, pensati per essere somministrati a persone che hanno già contratto l’Hiv. “L’obiettivo di questo tipo di vaccini – dice Ensoli – è quello di rafforzare la risposta immunitaria del paziente e migliorare l’effetto della terapia antiretrovirale, o di ridurne la somministrazione per contenere i relativi effetti avversi, che specialmente nei bambini molto piccoli possono essere importanti”.
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La strada della terapia genica somministrata alla nascita
Un altro studio statunitense, pubblicato sempre oggi ma su Nature, porta invece i risultati di un altro approccio: quello della terapia genica somministrata alla nascita per evitare il contagio tra madri e figli. La ricerca è stata svolta su modelli animali (piccoli di macaco) e mostra che è possibile programmare le cellule per produrre continuamente anticorpi anti-Hiv: una sola iniezione sembra proteggere dall’infezione per molto tempo. La finestra temporale è però cruciale, scrivono gli autori: i cuccioli che hanno ricevuto il trattamento entro il primo mese di vita sono rimasti protetti per almeno tre anni senza bisogno di un richiamo, il che potrebbe significare una copertura vaccinale estesa fino all’adolescenza negli esseri umani. Al contrario, per i piccoli che hanno ricevuto il trattamento tra le 8 e le 12 settimane, quando il sistema immunitario è più sviluppato, non è stata osservata la stessa efficacia.