di
Stefano Montefiori

Tra i 150 campioni di Dna e impronte digitali esaminati ci sono quelli lasciati prima di tutto sulla corona dell’imperatrice Eugenia

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
PARIGI – «I ladri, si finisce sempre per ritrovarli», diceva il ministro dell’Interno, Laurent Nuñez, già prima dell’arresto di due di loro. Le preoccupazioni restano per i gioielli, «spesso venduti all’estero». Ma intanto l’inchiesta conosce una svolta perché gli interrogatori dei due fermati potrebbero dare informazioni decisive per catturare il resto della banda e gli eventuali complici.

I due arrestati hanno tra i trenta e i quarant’anni e abitano nello stesso quartiere di Aubervilliers, alla periferia nord di Parigi nella Seine-Saint-Denis, quel dipartimento «93» considerato la banlieue più difficile. Uno dei due, con la doppia nazionalità francese e algerina, è stato bloccato dalla polizia che lo seguiva da giorni agli imbarchi del vicino aeroporto Charles De Gaulle, mentre stava per prendere l’ultimo volo Air Algerie verso la capitale Algeri. Il suo compagno, di nazionalità francese, è stato invece fermato a Aubervilliers, e secondo le fonti investigative stava progettando di fuggire in Mali.



















































Se il colpo di domenica è sembrato eccezionale per audacia, efficacia e rapidità, i ladri hanno comunque commesso molti errori. Il principale è stato abbandonare nella fuga molti oggetti, che sono stati analizzati per giorni dagli esperti della polizia scientifica.

Tra i 150 campioni di Dna e impronte digitali esaminati, ci sono quelli lasciati prima di tutto sulla corona dell’imperatrice Eugenia, con i suoi 1.354 diamanti, 113 rose e 56 smeraldi, rubata dalla vetrina della galleria di Apollo ma poi lasciata cadere a pochi metri dal museo.

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E poi un casco da motocicletta, con alcuni capelli all’interno, e un guanto. Entrambi sono stati abbandonati dentro la cabina del camion montacarichi, cabina peraltro rubata qualche giorno prima a un venditore trovato sul sito Leboncoin e incontrato dai ladri a Louvres (cittadina dal nome simile al museo, vicina all’aeroporto). I banditi poi hanno lasciato sul luogo del crimine le chiavi del camion, una bottiglia di liquido infiammabile con la quale hanno cercato invano di dare fuoco al mezzo, uno dei gilet gialli usati per travestirsi da operai e un walkie-talkie.

Le impronte e il Dna hanno permesso di risalire ai due fermati che erano già negli schedari della polizia per precedenti rapine a gioiellerie. Specialisti che potrebbero avere agito su commissione, e con la complicità di un dipendente del museo che potrebbe avere segnalato i punti deboli nella sicurezza.

Durante il furto, la videosorveglianza si è dimostrata insufficiente intorno al Louvre, e i ladri hanno potuto parcheggiare tranquillamente il camion montacarichi sul marciapiede, contromano, quando il museo era già aperto, con i loro gilet gialli, senza che nessuno intervenisse per verificare la loro identità e dare l’allarme. Sono state efficaci invece le videocamere di sorveglianza disseminate in tutta Parigi e nella regione della capitale, grazie alle quali gli investigatori hanno rintracciato il percorso dei due scooter Yamaha TMax a bordo dei quali erano ripartiti i quattro malviventi.

Gli arresti di sabato sera e rivelati ieri mattina confermano la pista del grande banditismo, e fanno perdere peso all’ipotesi di un atto di guerra ibrida condotto dalla Russia di Putin contro la Francia di Macron, che pure era stato non totalmente escluso all’inizio delle indagini. Anni di complessa riorganizzazione attendono il Louvre ma, intanto, i due arresti risollevano il morale delle autorità e della Francia.

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27 ottobre 2025 ( modifica il 27 ottobre 2025 | 14:36)