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Che il 2019 sia stato l’ultimo anno definibile come “normale” ormai è fuori discussione. Certo, le cose al mondo non è che andassero poi così bene perché, a ben vedere, qualche magagna in giro c’era, ma tant’è: eravamo tutti un po’ più sereni.
Dal 2020 in poi ci siamo prima ritrovati a vivere la versione alternativa di una quotidianità che pareva figlia di uno strano incrocio fra The Last of Us, 28 giorni dopo e la versione “de noantri” di un romanzo di Orwell in cui, per uscire di casa e andare al ristorante a mangiare una cacio&pepe, avevamo bisogno di autodichiarazioni e QR Code a cui poi hanno fatto seguito tutta una serie di catastrofi internazionali di ogni tipo. Viviamo in una sorta di Guerra Fredda 2.0 in cui la politica mondiale viene fatta coi meme più che con dei programmi politici.
Meglio non divagare troppo altrimenti mi spostano l’editoriale da Vision a un’altra sezione di Today e non è il caso: meglio restare ancorati al mondo dello spettacolo e del cinema nel caso specifico.
Ecco, anche per la settima arte, il 2019 è stato l’ultimo anno normale. I film uscivano in sala e la gente li andava a vedere a prescindere che si trattasse di roba ultra pop come Avengers: Endgame o Frozen II che proposte più classiche come 1917 o Cena con delitto. C’è stato addirittura un film sudcoreano come Parasite che, dopo la Palma d’oro e prima dei quattro Oscar, fra cui Miglior film, è riuscito a incassare più di 250 milioni in tutto il mondo.
C’era pure un signore di nome Leonardo DiCaprio che, insieme a un altro signore di nome Brad Pitt, recitava nell’opera di un tal Quentin Tarantino intitolata C’era una volta a Hollywood portando nelle casse della Sony 377 milioni nonostante quel lungometraggio non proponesse neanche cinque secondi in cui compariva Spider-Man.
Altri tempi.
E se pure Leo floppa…
Proprio Leonardo DiCaprio è un’ottima cartina tornasole di come il rapporto fra le persone e la sala cinematografica sia andato deteriorandosi.
Per svariati anni, alle major di Hollywood, bastava il suo nome per approvare qualsiasi film. Chiedete maggiori informazioni a Martin Scorsese. Gangs of New York, The Aviator, The Departed, Shutter island, The Wolf of Wall Street. A prescindere dal meritatissimo credito che un gigante del cinema come Mr Scorsese si è guadagnato, l’avere dalla sua parte il Re del mondo di Titanic è stato una manna dal cielo perché nessuno si è mai fatto troppi problemi nel finanziargli un film interpretato dalla star. Poi però in un contesto in cui un po’ tutti gli studios avevano cominciato a voler rischiare il meno possibile insistendo sempre su questo o quel franchise, è arrivato il Covid a peggiorare il tutto. E così anche Mr Scorsese, per farsi produrre Killers of the Flower Moon, nonostante DiCaprio è dovuto andare a bussare alle porte della Apple. Che ha staccato un assegno da 215 milioni (recuperati con mezzo secondo di vendite di AirPods nella sola Ascoli Piceno) e ha fatto sì che, tramite la Paramount, il film arrivasse anche nei cinema. Solo che ad andarlo a vedere sono stati quattro gatti.
Gli stessi quattro gatti che poi, più di recente, sono andati a vedere al cinema Una battaglia dopo l’altra, il nuovo film di Paul Thomas Anderson che nel cast non ha solo Leonardo DiCaprio, ma anche Benicio del Toro e Sean Penn. Che non sono propriamente degli sconosciuti esordienti.
Eppure, per l’ennesima volta, ci troviamo di fronte al caso di una major che fra budget speso per produrre il film e i dollari destinati alla sua promozione ha tirato fuori dal borsello almeno duecento milioni di dollari.
Ad oggi ne ha incassati in tutto il mondo 164 e, stando così le cose, genererà un passivo di almeno 100 milioni per la Warner che l’ha prodotto (dal circuito cinematografico perché nel tempo, fra home video e cessione dei diritti streaming e TV di soldi ne recupererà comunque parecchi). Considerate che fra la percentuale del 50% che viene trattenuta dai cinema (è una media valida grossomodo per tutto il pianeta) e quello che finisce direttamente nelle tasche del buon DiCaprio, per andare in pari dovrebbe almeno generare un giro d’affari da 300 milioni. A livello finanziario, l’unico che non può lamentarsi è proprio il buon Leo che è una di quelle pochissime star che quando sigla il contratto per partecipare a un film può ancora pretendere il cosiddetto “first dollar gross”. Tradotto in termini comprensibili anche al fornaio sotto casa: l’attore trattiene una percentuale sul box-office a partire dal primo dollaro che finisce nelle casse dei cinema e non dal momento in cui i guadagni della pellicola cominciano a essere in attivo. Distinzione non da poco.
Nel momento in cui smetterete di pensare con una punta d’invidia al conto corrente del nostro, realizzerete che anche voi state leggendo un articolo che finrora parla di un film che, nel 99% dei casi, non avete visto e di cui, forse, non avete neanche sentito parlare.
Mal comune mezzo gaudio? Mica tanto.
È cambiato tutto. Quelli che una volta erano i cosiddetti (a Hollywood) “bonafide actor” quegli attori che, solo col loro nome, garantivano soldi a palate non esistono più.
Oltre a DiCaprio lo sa bene anche Dwayne “The Rock” Johnson. Nel biografico The Smashing Machine di Benny Safdie interpreta Mark Kerr, lottatore di MMA e wrestler. Al festival di Venezia Safdie ha vinto il Leone d’argento per la regia, l’interpretazione di The Rock è stata acclamata in ogni dove e un po’ per questo, un po’ per gli occhialini da filosofo nichilista che l’ex star del wrestilng sfoggia ora durante ogni intervista come a sottolineare questa sua svolta impegnata di carriera dopo vent’anni di adorabili blockbuster fracassoni, tutti hanno subito indicato The Smashing Machine come l’ennesimo colpo dei selezionatori di Venezia in ottica Oscar. Il nuovo film da vedere della casa di produzione e distribuzione indipendente a24 con il distributore italiano I Wonder Pictures probabilmente convinto di avere in tasca il nuovo The Substance, a giudicare dalle 1500 attivazioni social con influencer di ogni tipo invitati a Venezia per la soirée del lungometraggio con le immancabili photo opportunity con un sempre disponibilissimo Johnson.
Una volta finiti gli entusiasmi festivalieri, The Smashing Machine è arrivato nei cinema americani e di alcuni mercati internazionali (da noi arriverà il 19 novembre) e ha subito regalato a Dwayne Johnson il maggiore insuccesso della sua carriera. Con un costo di 50 milioni finora ne ha incassati 18. In tutto il mondo. Facendo forse capire anche alla stessa a24 che 1) hanno speso troppi soldi per produrlo, più di quanto sono soliti spendere normalmente 2) che molte cose sono andate più che storte nel come è stato comunicato al pubblico che questo film esisteva 3) che sicuramente Mark Kerr è una persona interessante e nessuno lo mette in dubbio, ma che di chi sia e di cosa sia accaduto nella sua vita, e lo dico con tutto il rispetto di questo mondo, non frega una fava ad anima viva o quasi anche se è The Rock a interpretarlo.
Esiste una cura?
Ok, fino al 2019 eravamo a bituati a vivere in una data maniera e dal 2020 in poi le cose sono cambiate, specie per come viviamo il cinema.
Ma osservare che anche gente come Leonardo DiCaprio o Dwayne Johnson non basta più a smuovere le persone da casa fa comunque impressione. E a Hollywood e dintorni, di fronte a debacle come queste, ci s’interroga e ci si gratta la testa senza sapere bene che pesci pigliare.
Più reel su Instagram? Più star di TikTok da coinvolgere nella promozione? Nessuno lo sa con certezza.
Sulle pagine di Variety c’è chi come Shawn Robbins, analista di box-office per Fandango (la principale piattaforma nordamericana per la prevendita di biglietti cinematografici), dà una lettura che mi sento di condividere perché io stesso, che col cinema, la TV e l’intrattenimento ci lavoro e ci pago il mutuo, mi sento rappresentato dalle sue parole, quindi immaginate voi che state leggendo che vivete tutto questo non come un lavoro, ma come uno svago.
“Questi film cosiddetti di prestigio” spiega Robbins “non sono riusciti a creare nella gente quella sensazione di perdersi qualcosa, la cosiddetta FOMO (Fear of Missing Out). Non sono stati trattati abbastanza come eventi. Il pubblico, ormai, si aspetta che questi film siano disponibili per la visione a casa molto prima rispetto a quanto accadeva in passato”.
Effettivamente è così.
In un momento storico in cui anche i cinecomic della Marvel fanno fatica, la gente continua a premiare nomi noti come Jurassic Park, Dragon Trainer, qualsiasi cosa che abbia la parola Minecraft nel titolo, e l’originalità pare aver successo quasi solo esclusivamente quando ha a che fare con storie horror. I peccatori e Weapons non appartengono ad alcun franchise, ma sono andati benissimo. Tutto il resto? Sì può tranquillamente recuperare con un noleggio digitale o in streaming quando arriverà su questa o quella piattaforma.
E in mezzo a tutto ciò, l’unico che continua a giocare in una categoria a sé non è un attore o un attrice, ma un regista: Christopher Nolan. Solo lui può riuscire a fare dei record d’incasso con un anno di anticipo sull’uscita.