di Anna MangiarottiNella Milano anni ’50 – che dopo aver trattenuto il fiato per la guerra si lancia verso il futuro, ricostruisce e crea – c’è anche Lucio Fontana a dare forma con entusiasmo alla modernità. Con l’amico architetto brianzolo Osvaldo Borsani (la sua Tecno da mobilificio di famiglia destinata a diventare impresa industriale) condivide il piacere della trasversalità, segno distintivo della creatività milanese e del Design (storia essenzialmente milanese).
Una testimonianza di quell’epoca è in mostra da Brun Fine Art, Milano, via Gesù 17, dal 29 ottobre al 20 dicembre: progettata dai due per le case dei ricchi milanesi loro fan, una consolle da parete, con supporto scultoreo ideato e dipinto dall’artista facendo evolvere il Barocco verso lo Spazialismo. Esposta insieme ad altre opere rimaste a documentare una ricerca capace di oltrepassare i confini tradizionali tra pittura, scultura e architettura: ’Lucio Fontana. Oltre la superficie’. Comunemente definite ’ceramiche’, ecco tre piatti (raffiguranti una natura morta, la Corrida e una Battaglia), vasi, piccole sculture, maniglie, e tre Crocifissi in terracotta smaltata e dipinta a terzo fuoco. E un raro bozzetto, datato 1958, per la facciata della chiesa parrocchiale dell’Assunta ai Piani di Celle Ligure, raffigurante la Madonna Assunta e San Michele Arcangelo.
L’espressione più iconica, e più nota, dello Spazialismo comunque Fontana la offre a partire dal 1958 nei ’Concetti spaziali, Attese’ detti ’tagli’ (nel caso di un unico taglio, ’Concetto spaziale, Attesa’; quando ce ne sono di più, ’Concetto spaziale, Attese’), che contemplava dicendo di sentirsi lui per primo “un uomo liberato dalla schiavitù della materia, un uomo che appartiene alla vastità del presente e del futuro”.
In mostra, tre ’Attese’ degli anni Sessanta, su fondo rosso, blu e bianco: aperture sulla tela colorata e incisa, non ancora asciutta, con taglierini allargando poi le fenditure con le dita. Per invitare lo spettatore a guardare oltre, verso lo spazio indefinito e misterioso dell’immaginazione.
A conclusione del percorso espositivo, non mancano i cosiddetti Teatrini, che segnano la fase finale della carriera di Fontana, realizzati poco prima della scomparsa, tra il 1964 e il 1966: cornici in legno sagomato e laccato che racchiudono tele monocrome su cui è separata una figura geometrica puntellata con i celebri fori: “Un tipo di ’Spazialismo realistico’ – ha spiegato l’artista – anche un po’ alla maniera della Pop Art, ma sempre a modo mio”.