Era molto più smaliziato il vecchio Leblanc, che quando decideva di favorire un corridore piuttosto di un altro, piazzava sul percorso del Tour degli ostacoli studiati in modo perfido. Chiedete a Bugno e Chiappucci come facevano gli organizzatori di allora per spianare la strada a Indurain. Piazzavano un prologo e due crono piatte da 60 chilometri e poi potevi fare le imprese che volevi in montagna, che tanto il passivo era pressoché insormontabile.


Dalla parte dei vincitori
Il Tour è sempre stato dalla parte dei vincitori, oppure li ha sempre resi imbattibili disegnando percorsi su misura. Il gigante spagnolo ha avuto campo libero per cinque anni. Poi decisero di aprire il ciclo di Ullrich, secondo nel 1996 e primo nel 1997. Però fecero male i conti e si trovarono tra i piedi quel genio di Pantani che, nonostante le crono interminabili, lo mise al tappeto con un paio di giornate ben fatte in montagna.
A quel punto battezzarono la ruota di Armstrong. Pantani in qualche modo se lo tolsero dai piedi e per sette stagioni si consegnarono all’americano, che era tanto più forte da non avere bisogno di percorsi su misura.
Dopo gli anni di Sky e del solo Nibali che trovò l’estro e il coraggio per interromperne la serie, la stessa superiorità adesso ce l’ha Pogacar, senza che si provi a rendergli la vita difficile con tracciati per lui meno comodi (posto che poi esistano davvero!). Eppure in Francia ora si dibatte sulla possibilità che Pogacar possa non farcela a centrare il quinto Tour.


L’insidia del Col de Sarenne
E’ quello che emerge leggendo gli articoli che L’Equipe ha dedicato alla Grande Boucle dopo la presentazione dell’edizione 2025 (la foto di apertura è di A.S.O./ Maxime Delobel).
«L’unico momento in cui potrebbe essere in difficoltà – dice Thierry Gouvenou, direttore tecnico del Tour – è durante la penultima tappa, quando affronteremo le salite più lunghe in alta quota. Con il Col de Sarenne, che è accidentato e non molto scorrevole, non potrà avere una giornata negativa, perché potrebbero volare minuti. Lo abbiamo già visto cedere in passato sulle lunghe salite, sul Granon e il Col de La Loze, ma la speranza è minima».
«Ogni volta che c’è una vetta importante – è il controcanto di Prudhomme – Pogacar vuole vincerla. Quindi immagino che quando vedrà l’Alpe d’Huez due volte, vorrà conquistarla, come i più grandi. Come Hinault insieme a LeMond, ma saranno passati quarant’anni. Non è un’impresa da poco».


I Pirenei spuntati
Sarebbe interessante entrare nelle stanze segrete e scoprire quanto la quinta vittoria di Pogacar piaccia agli sponsor del Tour e quanto siano tutti interessati che lo sloveno possa ottenerla e poi proseguire fino a cancellare le sette macchie di Armstrong.
Raccogliendo pareri qua e là, i giornalisti de L’Equipe evidenziano come lo stesso Christian Prudhomme abbia fatto notare che i Pirenei in avvio, poco dopo il via da Barcellona, sarebbero potuti diventare già un momento decisivo e per questo si è deciso di non spingere troppo sul gas.
«Volevamo che il Tour – dice – andasse in crescendo. Abbiamo scelto di non renderlo subito difficile, anche se andremo sul Tourmalet. Volevamo che ci fosse una progressione attraverso i cinque massicci: Pirenei, Massiccio Centrale, Vosgi, Jiura e Alpi, con una penultima tappa con 5.600 m di dislivello. Qualunque sia la situazione, tutto può essere capovolto il giorno prima dell’arrivo finale».
E qui però sorge un dubbio: si punta allo spettacolo oppure allo stesso esito finale, con l’accortezza di chiudere il discorso soltanto alla fine e non nella seconda settimana?


Un occhio per Remco
Che cosa avrebbe fatto a questo punto il disegnatore con le mani libere? Avrebbe sfogliato la rosa dei partenti e si sarebbe reso conto che uno come Remco Evenepoel va utilizzato meglio. Non puoi consegnarlo alla sconfitta proponendogli percorsi che non gli si addicono. E allora, memore della crono dei mondiali, avrebbe messo sul percorso non solo la cronosquadre di 19 chilometri in partenza, ma altre due cronometro individuali ben più sostanziose dei 26 chilometri previsti nella terza settimana.
Una il martedì della seconda settimana, l’altra a Parigi. Avrebbe così dato a Evenepoel la possibilità di prendere vantaggio prima delle salite e messo Pogacar nella condizione di affrontare le montagne di rimonta. La resa dei conti finale nella cornice di Montmartre e dei Campi Elisi sarebbe stata irresistibile.
«C’è stato un vero cambiamento dal 2019 – dice Prudhomme – quando i corridori hanno iniziato a sfruttare quasi ogni salita, attaccando da ogni punto. Ovviamente, per l’organizzatore, non è il vincitore che conta, ma che ci sia una lotta il più a lungo possibile e che ci sia suspense».


La sensazione è che non sia così e che si sia voluto mantenere il solco fra Pogacar-Vingegaard e gli altri. Avere una crono a Parigi come quella che consegnò il Tour a Lemond per 8 secondi su Fignon nel 1989, ma all’indomani della doppia Alpe d’Huez, potrebbe cambiare tutto o celebrare ancora una volta la grandezza di Pogacar. Ma forse la possibilità di veder vacillare il vincitore predestinato è un rischio troppo grande nell’anno che potrebbe consegnarlo alla storia.