Stéphane Heulot spiega le motivazioni del suo addio alla Lotto. Dopo tre anni alla guida della formazione belga, che sotto la sua guida si è guadagnata di nuovo la licenza WorldTour, l’ex professionista francese ha rassegnato le proprie dimissioni per una serie di divergenze sullo sviluppo del progetto. Se in un primo momento si era pensato che tale decisione fosse frutto dell’imminente fusione con la Intermarché-Wanty, nel frattempo ormai diventata realtà, in verità l’ormai ex team manager del team ha chiarito che non fosse nemmeno al corrente di tale prospettiva al momento della scelta. Le ragioni di questa separazione sono da ricercare più in profondità, partendo dal rapporto con la proprietà e dalla gestione dei corridori.
“La mia partenza non è legata alla fusione Lotto-Intermarché – ha dichiarato in un’intervista al portale francese Cyclism’Actu – I miei dubbi risalivano già all’inverno scorso. Ho amato moltissimo questi tre anni trascorsi con il mio staff e i miei corridori, ho incontrato persone straordinarie. Ma il modo di funzionare e di gestire il team sono molto complessi, molto politicizzati. Alcuni non condividono i miei valori. […] Essere manager significa essere costantemente all’ascolto. Bisogna avere tutte le carte in mano e ricevere le informazioni in tempo, come il ruolo merita. Non è stato così. Ero arrivato al limite della mia capacità di sopportazione”.
Infatti il manager francese spiega che non fosse stato nemmeno informato della fusione con la Intermarché-Wanty e di averlo scoperto solo dopo aver già iniziato la ricerca di nuovi sponsor per la stagione successiva: “La seconda settimana del Tour ero in Bretagna per finalizzare discussioni con degli sponsor pronti a unirsi a noi. Una volta ottenuti gli accordi, ho convocato il consiglio d’amministrazione per presentare il progetto. È lì che il CEO mi ha annunciato che arrivavo troppo tardi, che era già in corso un avvicinamento con la Intermarché. Sono rimasto senza parole. Dovevamo annunciare il co-sponsor il lunedì del secondo giorno di riposo del Tour. Era tutto pronto. Lo sponsor è rimasto disorientato scoprendo una strategia completamente diversa. Da quel momento, tutto è stato rimesso in discussione. Ho quindi deciso di fermarmi”.
Una situazione che potrebbe apparire paradossale all’esterno, ma che Heulot invece ritiene in linea con il modo di agire della proprietà, legato più ad interessi politici che sportivi: “Non sono rimasto sorpreso. È coerente con il modo di agire di chi ha preso queste decisioni. C’è poca umanità in tutto questo. Nel ciclismo siamo solo di passaggio”. La mancanza di umanità viene ribadita anche riguardo la gestione del periodo complicato vissuto da un corridore fondamentale come Arnaud De Lie e di come supportarlo per tornare competitivo: “Abbiamo attraversato un periodo complicato, in particolare con Arnaud De Lie. Mi sono sentito un po’ solo in questa sfida per rimetterlo in carreggiata. Quando dico solo, intendo all’interno della squadra, a livello familiare e personale era ben seguito. Ma è sempre facile sostenere qualcuno quando tutto va bene; quando le cose si complicano, è lì che si vedono le forze in campo”.
Un’altra vicenda sembra aver colpito particolarmente Heulot durante il suo percorso alla guida della Lotto e riguarda l’addio al termine della scorsa stagione di Maxim Van Gils, con un contratto terminato in anticipo per volontà del corridore belga: “I contratti non sono più sempre rispettati. Conservo un retrogusto amaro per l’episodio Van Gils. Non gli porto rancore personalmente, ma deploro la leggerezza di alcune squadre ricchissime e di certi agenti senza scrupoli. Si parla spesso di agire nell’interesse dei corridori, ma una carriera non si gioca su uno o due anni. Oggi non c’è più una visione a lungo termine. Il ciclismo è un ecosistema fragile. Quando gli accordi non vengono rispettati, tutto l’equilibrio può crollare”.
La riflessione sull’attuale fragilità del ciclismo viene approfondita dal dirigente francese, che conclude con un’interessante analisi sull’abbandono dello sport di base: “Il vero problema è che il modello economico del ciclismo non è sostenibile. Si parla molto di creare valore al vertice, ma mai di redistribuirlo alla base. Le strutture amatoriali stanno vivendo una crisi profonda. Le sovvenzioni diminuiscono, le amministrazioni locali si disimpegnano. E senza base, tutto crolla. Oggi si ingaggiano corridori di 18-19 anni nel WorldTour. È eccezionale, ma ne abbiamo fatto una norma. E poi, quanti abbandonano a 21 o 22 anni? Stiamo invertendo la piramide, e prima o poi crollerà”.
