di
Vera Martinella
Cosa cambia se si somministrano i farmaci a certe ore del giorno o della notte? Risultano più efficaci o meno tossici? Cronoterapia, nuove risposte
Prendere un farmaco al mattino o alla sera può fare la differenza, per l’efficacia e per gli effetti collaterali. Lo sappiamo bene, è una prassi consolidata per moltissime terapie. Molto meno noto è che questo possa avere un ruolo anche quando si parla di cura dei tumori. Si tratta in realtà di un filone di ricerche che vanno avanti da molti anni che puntano a scardinare i ritmi circadiani (cioè l’«orologio interno») delle cellule malate.
Nei giorni scorsi a Berlino è arrivata una nuova, importante, risposta da uno studio presentato durante il convegno annuale della European Society for Medical Oncology (Esmo), la Società Europea di Oncologia Medica, e pubblicato contemporaneamente sulla rivista scientifica New England Journal of Medicine: l’immunoterapia contro il melanoma è più efficace e con meno effetti collaterali se somministrata al mattino.
Cronoterapia e tumori
L’ambito in cui ci si muove è quello della cronoterapia. E’ già scientificamente provato che e tutte le cellule del corpo umano tendono a seguire un preciso ritmo nell’arco delle 24 ore e che le cellule cancerose hanno questi ritmi alterati e si moltiplicano con tempi diversi: questo fa sì che l’efficacia e la tollerabilità di un farmaco antitumorale possano dipendere anche dall’ora in cui viene somministrato. Alcuni studi, ad esempio, hanno indicato che il 5-fluorouracile (chemioterapico fra i più usati nella terapia di tumori dell’apparato digerente e del seno) andrebbe somministrato di notte, perché gli enzimi che lo metabolizzano sono più attivi e quindi il farmaco risulta meno tossico per i pazienti. Altre analisi, provano che nelle pazienti con un carcinoma ovarico la combinazione di doxorubicina e cisplatino risulta più efficace se il primo medicinale viene preso la mattina e il secondo 12 ore dopo. «Tutto dipende dal tipo di cancro in questione e dal meccanismo d’azione del singolo farmaco, da come agisce e da come viene metabolizzato – spiega da Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative dell’Istituto Tumori Pascale di Napoli –: quello che varie sperimentazioni stanno cercando di capire è in quali orari sia meglio dare ciascuna terapia, per colpire le cellule cancerose durante la loro massima attività. E, se possibile, quando l’organismo assimila meglio la cura, così da soffrirne meno gli effetti collaterali».
Lo studio CheckMate 238
In questo contesto s’inseriscono anche i risultati dello studio (di fase tre, l’ultima prima dell’approvazione di una nuova cura) CheckMate 238 presentati al congresso Esmo 2025 da Ascierto: «E’ il primo trial che conferma l’efficacia a 10 anni dell’immunoterapia adiuvante, cioè somministrata dopo l’intervento chirurgico, nei pazienti con melanoma operato ad alto rischio di recidiva – dice Ascierto, che è professore ordinario di Oncologia all’Università Federico II di Napoli –. Questi dati rappresentano il follow-up più lungo mai registrato per un immunoterapico somministrato dopo l’intervento chirurgico del melanoma . Un’analisi successiva suggerisce inoltre una potenziale migliore efficacia e tollerabilità dell’immunoterapia somministrata prima delle ore 13, un dato che merita ulteriori valutazioni». La sperimentazione ha coinvolto un totale di 906 pazienti con melanoma resecato ad alto rischio di recidiva, divisi in due gruppi: nel primo i pazienti hanno ricevuto il farmaco nivolumab e nel secondo ipilimumab. Tutti i pazienti sono stati seguiti per circa 10 anni. «Nivolumab, un inibitore di PD-1, uno dei “freni” che impediscono al sistema immunitario di attaccare il tumore, ha dimostrato un’efficacia superiore e duratura rispetto alla monoterapia con ipilimumab, sia sulla sopravvivenza libera da recidiva e sia sulla sopravvivenza libera da metastasi a distanza – chiarisce l’oncologo -.
In particolare, il tasso di sopravvivenza libera da recidiva a 10 anni è stato del 44% per i pazienti trattati con nivolumab (media di 61, 1 mesi), rispetto al 37% per quelli trattati con ipilimumab (media di 24,2 mesi). Uno scarto simile è stato osservato anche sul fronte della sopravvivenza libera da metastasi a distanza: 54% nel gruppo nivolumab in confronto al 48% nel gruppo ipilimumab. Più simili i tassi di sopravvivenza globale a 10 anni, pari al 69% con nivolumab e al 65% con ipilimumab».
Tempi di cura
In un’analisi separata sullo stesso gruppo di pazienti, i ricercatori hanno hanno anche rilevato che i pazienti a cui l’immunoterapia è stata somministrata al mattino, precisamente prima delle ore 13, la sopravvivenza libera da recidiva a 10 anni è risultata migliore: il 44% contro il 38% di chi ha ricevuta la cura nel pomeriggio. «Ancora più ampio è lo scarto tra i pazienti a cui è stato somministrato solo l’ipilimumab: 43% di sopravvivenza libera da recidiva di mattina contro il 34% – precisa Ascierto -. Inoltre, i dati indicano una frequenza numericamente più alta di effetti collaterali legati al trattamento con la somministrazione pomeridiana rispetto a quella mattutina per entrambi i farmaci. E’ dunque evidente che il ritmo circadiano influenza l’efficacia e la tollerabilità dell’immunoterapia, un filone di ricerca che merita di essere approfondito».
Lo studio sul vaccino a mRNA
Un altro studio illustrato a Berlino ha dato esiti significativi per i pazienti con melanoma avanzato, non operabile (stadio III o IV) e resistenti a più trattamenti standard: un vaccino a mRNA «fisso» si è dimostrato in grado di raddoppiare il tasso di risposte, sia in combinazione con l’immunoterapia (cemiplimab) che da solo. In pratica il numero di persone in cui la cura ha fatto effetto è passato dal 10% che ci si aspetta in questa popolazione di malati al 18%.
«BNT111 è un vaccino terapeutico basato sulla tecnologia a RNA messaggero (mRNA), reso famoso dai vaccini sviluppati contro il Covid-19 – conclude l’esperto –. Ma in questo caso, non si tratta di prevenire un virus, bensì di curare un il melanoma. E’ un vaccino fisso, perché non è creato su misura per le mutazioni uniche di un singolo paziente. È standardizzato per colpire un set di quattro antigeni (proteine) che sono presenti nella maggior parte dei melanomi. Il vaccino fornisce alle cellule dei pazienti una sorta di “manuale di istruzioni”, sotto forma di mRNA, per insegnare al sistema immunitario a riconoscere e distruggere le cellule cancerose che esprimono quelle quattro specifiche proteine. Lo studio ha evidenziato una risposta completa, un risultato eccezionale in oncologia, nell’11,7% dei pazienti trattati con la combinazione. Mentre dati di follow-up mostrano risposte profonde e durature, con un impatto positivo anche sulla sopravvivenza a lungo termine: quasi la metà dei pazienti (47,8%) trattati con la combinazione BNT111 + cemiplimab era ancora viva a 24 mesi e circa un quarto dei pazienti (25%) trattati con la combinazione era libero dalla progressione del tumore a 24 mesi» .
29 ottobre 2025
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