Questa volta il verdetto è definitivo: assolto. Oggi, 29 ottobre, anche la Corte di Cassazione ha scagionato Alex Cotoia dall’accusa di omicidio volontario. È il ragazzo che, a 18 anni, ha ucciso con 34 coltellate il padre Giuseppe Pompa, uomo violento con lui, il fratello e la madre. A gennaio, anche la Corte d’assise d’appello di Torino lo aveva assolto visto che, scrivevano i giudici, “Non era affatto mosso da odio, frustrazione e rabbia nei confronti del padre, ma si è difeso fino a quando ha constatato che il proprio aggressore era inerme e non costituiva più un pericolo”.

Il procuratore generale: “Ricorso inammissibile” 

In mattinata, il procuratore della Cassazione aveva chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso presentato dalla procura generale di Torino, sembrerebbe per ragioni procedurali. Anche i difensori di Cotoia (avvocati Claudio Strata, Giancarla Bissattini ed Enrico Grosso) avevano presentato la stessa richiesta. I giudici di terzo grado l’hanno accolta, mettendo così la parola fine ai processi che si susseguono da più di cinque anni.

Le coltellate in casa

Il 30 aprile 2020, quando i soccorritori e le forze dell’ordine sono arrivati nell’appartamento della famiglia Pompa in via De Amicis, il corpo di Giuseppe era steso a terra, coperto di sangue, senza vita. Alex ha sempre sostenuto di aver agito durante una colluttazione, per difendere la madre dalle violenze del padre. “L’appartamento era stato chiuso a chiave da Giuseppe, che teneva un coltello in mano per uccidere – ricostruivano i difensori del ragazzo – Alex doveva porre fine alle minacce del padre con ogni mezzo. Quando lotti, continui a lottare finché non vedi il tuo aggressore immobile. Se per fermarlo servono 34 coltellate, questo numero così alto non fa venir meno il la natura legittima della difesa”. Aggiungeva l’avvocato Strata: “Quel giorno maledetto, per un’unica frazione di secondo, Alex non è più riuscito a mediare, come aveva fatto a lungo. Non aveva previsto alternative: come ve lo dobbiamo spiegare?”.

Le sentenze precedenti 

Quello terminato oggi è il quinto processo affrontato da Cotoia . In precedenza, era già stato assolto (in primo grado), poi condannato a sei anni, due mesi e 20 giorni di carcere (secondo grado). A questo punto, la Corte di Cassazione aveva annullato la prima sentenza di secondo grado, ordinando un nuovo processo davanti alla Corte d’assise d’appello di Torino, terminato con una nuova assoluzione. La procura Torinese, dopo la quarta sentenza, aveva presentato un nuovo ricorso, sostenendo che l’imputato non avesse agito per legittima difesa. Anche il magistrato Giancarlo Avenati Bassi, chiedendo la condanna di Cotoia lo scorso inverno, si era soffermato su questa questione: “Vicino al cadavere ci sono un cuscino sul divano, un ananas perfettamente posizionato sul tavolo, un vaso pieno di fiori in ordine, tanti soprammobili ognuno al proprio posto. Se ci fosse stata davvero una colluttazione, avremmo una scena completamente diversa. Alex non ha agito per legittima difesa”. 
La Cassazione, come sempre, non ha valutato il merito della vicenda, ma la corretta applicazione della legge. La sua sentenza non può più essere appellata da nessuna delle parti coinvolte.

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