Il caso di Stéphane Cognet, sospeso cautelativamente per positività al betametasone in seguito alla partecipazione alla Granfondo La Fausto Coppi 2025, ha acceso un faro su una duplice vulnerabilità. Quella del sistema del ciclismo amatoriale e quella, forse ancor più delicata, del sistema dell’informazione sportiva. Ne avevamo già parlato in relazione al caso Sinner – qui l’articolo.

La vicenda mette in discussione la capacità del sistema informativo sportivo nel garantire una informazione trasparente, giusta e proporzionata, in particolare quando si tratta di atleti non professionisti, spesso lontani dai riflettori ma ugualmente esposti al giudizio pubblico.

Allo stesso tempo, evidenzia una certa impreparazione dell’apparato informativo nel gestire con lucidità e senso critico casi sensibili, dove la verità è ancora in fase di accertamento e il rischio di infangare la reputazione di una persona con un solo titolo è altissimo.

Quanto è realmente preparato il sistema — sportivo e mediatico — ad affrontare queste situazioni con equilibrio, rigore e umanità? Quando la velocità della pubblicazione supera la verifica dei fatti, e quando il diritto alla cronaca viene confuso con il diritto alla condanna, la responsabilità non è più solo dell’atleta o dell’organo di controllo, ma dell’intero ecosistema informativo.

Cognet non è solo un nome associato a un referto, ma il simbolo di una dinamica che si ripete: una segnalazione non ancora confermata può trasformarsi, nel giro di poche ore, in una condanna mediatica alimentata da blog, siti di settore e social network. E in questo cortocircuito, la presunzione d’innocenza rischia di diventare un concetto marginale, sacrificato sull’altare del click.

Serve una riflessione profonda: non solo sulle regole del ciclismo amatoriale, ma sulle regole dell’informazione. Serve un sistema capace di interrogarsi prima di esporre, di verificare prima di rilanciare, di raccontare con rispetto prima di giudicare.

Informazione o spettacolarizzazione?

Il sito Gran Fondo Daily, noto per la sua attività di monitoraggio nel mondo delle granfondo e dei casi di doping nel ciclismo amatoriale, ha rilanciato la notizia senza alcuna verifica puntuale delle informazioni relative all’effettivo tesseramento di Cognet.

L’articolo si è basato esclusivamente su fonti reperite online, che riportano dati contrastanti ed infondati circa lo status di affiliazione dell’atleta, attribuendogli il tesseramento a diverse società.

Nonostante le evidenti imprecisioni — come la fake news riguardo l’affiliazione di Cognet al team OM.CC | Officine Mattio Cycling Club, notizia del tutto infondata come appurabile sul sito della Federazione Francese di Ciclismo — il sito ha amplificato la notizia, contribuendo a diffondere una narrazione distorta e ad alimentare una disinformazione generalizzata sulla vicenda.

Le modifiche successive all’articolo originale, effettuate in più riprese e attraverso rettifiche progressive fino all’eliminazione totale di qualsiasi riferimento tra l’atleta sospeso e il team italiano, dimostrano una gestione editoriale reattiva e non preventiva.

La verifica dei fatti è stata subordinata alla ricerca di visibilità e clamore, a scapito della qualità e dell’affidabilità dell’informazione.

Il rischio della deriva scandalistica

Fa riflettere la condotta di Cyclisme-Dopage che si presenta come un organo d’informazione, ma nella sua forma e nei contenuti trasmette più l’impressione di un blog amatoriale che tenta di mascherarsi da testata giornalistica e che denota una spiccata propensione alla ricerca dello scandalo, più che alla costruzione di un’informazione equilibrata.

La pubblicazione frettolosa di notizie errate, priva di contestualizzazione, ha alimentato una caccia alle streghe che rischia di compromettere la reputazione di atleti e squadre prima ancora che i fatti siano accertati definitivamente.

La copertura mediatica del caso da parte di questo blog francese ha mostrato come la corsa alla notizia possa sacrificare l’accuratezza e l’equilibrio dell’informazione: titoli sensazionalistici, omissioni di contesto, e una narrazione che spesso dimentica la presunzione d’innocenza.

Invece di contribuire a una riflessione seria sulla lotta al doping, il blog ha scelto la via del sensazionalismo, tradendo il principio di responsabilità che dovrebbe guidare ogni voce informativa.

Con una regolarità stupefacente, il blog Cyclisme-Dopage pubblica gli anniversari dei casi di doping del passato, quasi celebrandone la ricorrenza come fossero festività sportive.

Ma è davvero informazione, o stiamo sconfinando nella perversione del racconto?

Sempre lo stesso blog afferma quanto segue: “Per il quinto anno consecutivo pubblichiamo il barometro che chiamiamo ‘Indice di Fiducia’. Consiste nel classificare tutte le squadre del WorldTour e quelle che partecipano a uno dei tre Grandi Giri, in base a criteri scelti per valutare il livello di fiducia che possiamo attribuire loro.”

L’appellativo di indice può andare ma la qualifica di fiducia? Vista la comprovata approssimazione dimostrata nel gestire la diffusione di notizie erronee, fiducia non è forse il termine più adatto da accostare ad indice. ‘Indice di Sospetto’, appare una dicitura forse più pertinente.

Lotta al doping sì, ma con metodo ma soprattutto etica!

La lotta al doping deve essere rigorosa, trasparente e giusta — non spettacolarizzata. Le regole devono valere per tutti, ma anche il rispetto della dignità di ciascuno deve essere parte integrante del percorso di controllo.

Il diritto di cronaca non è un lasciapassare per la diffamazione preventiva o per la costruzione di colpevolezze mediatiche, dove l’eco di una notizia supera la veridicità dell’informazione.

Serve un’etica dell’informazione sportiva che sappia distinguere tra il dovere di denunciare e il rischio di distruggere. È necessario costruire un nuovo equilibrio tra trasparenza e responsabilità, tra inchiesta e rispetto, perché il giornalismo non sia strumento di gogna, ma presidio di giustizia.

Solo così il racconto dello sport potrà diventare uno spazio credibile e costruttivo, dove l’errore non viene esibito come trofeo di indignazione, ma compreso nel suo contesto umano, regolamentare e culturale.

Il ciclismo merita rispetto, anche quando si raccontano le sue pagine più controverse

Il caso Cognet è emblematico di una tendenza preoccupante: quella di trasformare ogni sospetto in una condanna anticipata, ogni notizia in un piccolo scandalo da celebrare e diffondere senza filtro.

In un’epoca dominata dalla comunicazione rapida e dalla sete di reazioni, anche lo sport rischia di essere travolto da una narrazione distorta, dove la verità conta meno dell’impressione suscitata o del numero di click generati.

Ma il ciclismo — e lo sport in generale — merita ben altro. Merita un’informazione che sia sì libera, ma anche responsabile. Un’informazione capace di indagare e denunciare, ma senza perdere il senso della misura e il rispetto per le persone coinvolte. Un’informazione che non si limiti ad accendere riflettori sul sospetto, ma che sappia illuminare con rigore, senza bruciare con il fuoco del sensazionalismo.

La vera lotta al doping passa anche da qui: dal rifiuto della caccia alle streghe, dalla difesa del diritto alla verità, e dalla costruzione di un clima culturale dove la giustizia non sia solo punitiva, ma anche educativa. Perché combattere il doping significa sì proteggere la credibilità dello sport, ma anche garantire che questa battaglia non si trasformi in un’arena mediatica dove il sospetto è già condanna e il dubbio viene trattato come colpa.

Solo così potremo restituire allo sport — e al ciclismo in particolare — la profondità, la passione e la dignità che merita.

giro tifosi e bandiereInformazione digitale e credibilità: un equilibrio delicato

Nell’era dei click e dell’indicizzazione algoritmica, la rapidità di pubblicazione è spesso considerata un valore. Ma il tempo guadagnato nell’uscita di una notizia può essere perso in credibilità, se quella stessa notizia non poggia su fonti verificate e una narrazione equilibrata.

I blog come Cyclisme-Dopage non agiscono solo come osservatori: possono plasmare la percezione della realtà, influenzando il dibattito pubblico e manipolando l’opinione collettiva.

Quando manca un filtro critico o una verifica sostanziale, l’effetto può essere quello di una giustizia sommaria, dove il sospetto è elevato a verità per il solo fatto di essere stato condiviso. Il caso Cognet ha mostrato come la viralità di una notizia possa anticipare l’accertamento dei fatti, trasformando il giornalismo sportivo in una forma di giudizio parallelo.

Non è il titolo roboante a rendere un’inchiesta incisiva, ma la sua capacità di resistere al tempo, di dare voce ai dettagli, di accettare l’incertezza come parte del processo. Una cultura del dubbio non indebolisce l’informazione: la rafforza.

Il giornalismo sportivo ha il compito di illuminare le coscienze, non di condannare preventivamente. Nell’era digitale, ogni pubblicazione dovrebbe rispondere a un codice etico condiviso, fondato su proporzionalità, rispetto e competenza.

Ogni clic è una responsabilità. Ogni titolo, una scelta. Ogni rilancio, una possibile distorsione della realtà.