Le parole di Spalletti erano frasi di circostanza, ma il marchio sulla pelle ora che fine farà?
“Che belva si sente”: questa è la classifica domanda di apertura che Francesca Fagnani fa agli ospiti nel suo iconico programma. Se avesse davanti Luciano Spalletti, la seconda domanda sarebbe: “‘Io non voglio giocare contro il Napoli. Non voglio indossare una tuta che non sia del Napoli’. Ora invece è l’allenatore della Juve: come me lo spiega?”. Immaginiamo già la faccia sorniona di Luciano che proverebbe ad intortare con la sua melliflua dialettica. Ma alla fine la risposta sarebbe semplice: tu quoque, Luciano (ricalcando la celebre frase di Giulio Cesare ndr).
Tu quoque Luciano! Ora come fai col tatuaggio?—
La faccia sorpresa Luciano l’ha fatta anche quando la giornalista di Sky gli ha chiesto dell’interessamento alla presentazione dello sport dell’Amaro Montenegro. “Pensavo qui si parlasse solo del Montenegro”, e poi giù quei falsi complimenti a Tudor. Insomma, un classico show alla Spalletti. Potremmo elencare tutte le frasi da filosofo che Luciano ha enunciato a Napoli, basterebbe pronunciare la parola Juve per renderle tutte vane. Guardo il Napoli alla tv disse, poi andò in Nazionale “perché non si poteva dire di no”. Ma aveva anche affermato che non avrebbe allenato club italiani, il Napoli e lo scudetto sono tatuati sulla pelle. Ora si apre un bel dilemma: come farai a sederti sulla panchina dell’acerrima nemica, di quella che ha scippato storicamente il Napoli. Voi direte: “Conte è bianconero ed è sulla panchina azzurra”. Certo, ma c’è una differenza: Conte non si è tatuato la Juve sulla pelle, non ha fatto tutti quegli annunci da solone. Si è sempre comportato da professionista allenando anche l’Inter (acerrima rivale della Juve).