di
Valentina Iorio
La direttiva europea DAC7, in vigore dal 2023, e la sentenza della Cassazione di marzo: cosa sapere
Sono sempre più frequenti i casi in cui dietro le vendite sulle piattaforme di commercio on line come Subito.it, eBay, Vinted, Wallapop e altre si nascondono delle vere e proprie attività commerciali, che utilizzano queste piattaforme per evadere. Il rischio, come evidenzia Eurispes nel rapporto «Il fisco nel mondo virtuale», è che il web diventi un «paradiso fiscale». Per questo il legislatore europeo ha deciso che sopra una certa soglia le vendite devono essere segnalate al Fisco. Cerchiamo di capire meglio cosa significa.
È vero che sulle vendite online su Vinted, eBay, Subito o altre piattaforme analoghe bisogna pagare le tasse?
No, le vendite di beni di seconda mano su questi canali non sono soggette a tassazione. Questo significa che chi decide di mettere in vendita online un abito usato, una borsa di seconda mano o un oggetto acquistato e mai usato non è tenuto a pagare le tasse sulla transazione. Il discorso è diverso se invece la vendita online diventa un’attività abituale, caratterizzata da un elevato numero di transazioni effettuate in più anni d’imposta.
Cosa prevede in questo caso la legge e quando può essere considerata attività d’impresa?
La normativa di riferimento è la direttiva DAC7, entrata in vigore nel 2023, che, proprio per migliorare la trasparenza fiscale per le vendite effettuate attraverso piattaforme digitali, impone alle piattaforme di vendita o marketplace di comunicare i dati dei venditori che hanno compiuto in un anno più di 30 vendite oppure che hanno conseguito incassi dalle vendite superiori a 2.000 euro. In ogni caso la normativa in questione non impone di pagare tasse, ma solo di fornire all’Agenzia delle Entrate dati sugli incassi conseguiti. A quel punto possono scattare controlli. Come minimo, gli omessi redditi possono essere segnalati in automatico dall’Agenzia, con lettere di compliance ai contribuenti.
Cosa ha stabilito di recente la Cassazione?
La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 7552, pubblicata il 21 marzo 2025, ha stabilito che anche un privato senza partita Iva che effettua numerose vendite sulle piattaforme digitali per un periodo prolungato può essere considerato un imprenditore a fini fiscali (quindi con obbligo di dichiarare i guadagni e pagare le tasse). Secondo la Corte, infatti, l’abitualità e la continuità intrinseche nel fatto di aver effettuato un elevato numero di vendite on line per diversi anni sono requisiti sufficienti per configurare la produzione di redditi d’impresa.
Quali sono i motivi della stretta sulle vendite online?
I casi di frode nei confronti del Fisco sono aumentati. Come ricorda il rapporto Eurispes, in Italia «la Guardia di Finanza e l’Agenzia delle Entrate hanno già avviato, in questi ultimi anni, una serie di indagini, per scovare i falsi venditori occasionali, che dovrebbero iscriversi come venditori professionali, aprire un account business e dichiarare al fisco le somme percepite». Ma invece ricorrono a un «trucco»: si iscrivono alle piattaforme come venditori occasionali, ma mettono in piedi una vera e propria rivendita professionale.
31 ottobre 2025
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