MESTRE (VENEZIA) – Si delinea una particolare idea di Europa nell’opera di Edvard Munch. Un continente ricco di stimoli culturali, di prospettive e di incontri tra i giganti dell’arte che fanno decollare la creatività nelle grandi città.
Da qui prende le mosse la mostra “Munch. La rivoluzione espressionista” aperta al Centro culturale Candiani di Mestre fino a marzo. Un progetto che anche se non comprende il celebre “Urlo” getta comunque le basi per scoprire quello che è stato effettivamente Munch (1863-1944), per conoscere le sue fragilità, le sue innovative intuizioni, il suo carattere, e quel lascito che ha dominato anche in Italia fino a pochi anni fa come testimoniano, ad esempio, alcuni lavori di Renato Guttuso che chiudono il percorso espositivo.

Perchè è di questa idea di Norvegia, di Francia, di Germania e di Italia che si concentra l’obiettivo della curatrice Elisabetta Barisoni, direttrice di Ca’ Pesaro. «Certo, Munch è noto soprattutto per “L’urlo” – dice Barisoni – ma con questa mostra vogliamo spiegare che non c’è solo quello. La sua esistenza è stata segnata da gravi lutti in famiglia, ma questa sua reazione alla vita non basta a spiegare una forte creatività. Il primo articolo su di lui è del 1904 e prende in esame soprattutto le opere grafiche che avevano davvero un peso notevole all’epoca. A Venezia aveva partecipato anche alla Biennale». L’artista dai margini del continente arriva quindi a Parigi e qui inizia un prendere corpo un percorso che lo porta a confrontarsi con un ambiente fertile ed innovativo in particolare nel confronto con i “poeti maledetti”. Il suo segno fin dagli esordi, è stato quello di marcare con una certa ferocia i volti e le figure con un tratto che, in certi momenti, li trasforma quasi in dei mostri con occhi chiusi o scavati in luoghi prevalentemente desolati