«Raccontare oltre 40 anni di un’esperienza così piena non è semplice; magari, chissà, un giorno lo faremo scrivendo un libro sulle memorie di Ciccio Riccio». Mino Molfetta, patron della radio brindisina, racconta la sua creatura, nata nel 1980 nel periodo d’oro delle Radio private: tra servizio alla comunità, scoperta di talenti pugliesi e non, programmi sempre in diretta anche nelle giornate festive, Ciccio Riccio è diventata la Radio delle persone e per le persone.
Il segreto della longevità?
«Essere rimasti lontani dagli schieramenti e dalla tribuna politica – ma anche il riuscire ad essere camaleontici, dare spazio alle novità, intuendo i gusti e prevedendo futuri successi e tormentoni».
Quando si è appassionato a questo mondo meraviglioso che è la radio?
«La radio è uno strumento che mi ha sempre affascinato. Da ragazzino, nel mio mondo, c’era quella a valvole, di cui possiedo qualche esemplare. Ascoltare le trasmissioni radiofoniche dell’epoca era per me una sorta di viaggio, era una scatola magica. Pian piano ho sviluppato il desiderio di passare dall’altra parte e dopo aver militato per circa 8 anni nelle primissime emittenti libere brindisine e fatto esperienze in altre italiane, ho deciso di intraprendere una mia iniziativa».
Come nasce Ciccio Riccio?
«Dal desiderio di proporre qualcosa che all’epoca non esisteva. Innanzitutto una radio sempre in diretta e a contatto con gli ascoltatori. Nel 1983, quando è nata Ciccio Riccio, da noi non c’erano radio professionali. Ciò portava ad utilizzare la bobina, ogni volta che non ci poteva essere qualcuno in diretta. E dunque nel fine settimana, nelle festività comandate, e in altre giornate, la radio suonava come qualcosa di morto. La nostra prerogativa era essere una radio viva; fare compagnia in diretta».
Radio le altre, noi Ciccioriccio: così dunque siete diventati la radio delle persone.
«Eravamo in studio anche a Natale. Sono proprio quelli i momenti in cui le fasce più deboli si affidano alla radio. Ed è questa la nostra mission: fare compagnia, diffondere buon umore ed essere al fianco di chi ha bisogno di un amico e lo trova in questo strumento. Spesso siamo stati i badanti di persone anziane, disabili, o con problemi psicologici, che vedono in noi un amico affidabile, dando anche supporto in situazioni particolari».
Siete stati persino strumento di protezione civile, mettendovi a servizio della comunità: quanto è stato determinante questo gesto nella gestione dell’emergenza?
«Sì, quando a Brindisi ci sono stati gli sbarchi di trentamila albanesi in una sola notte, noi abbiamo interrotto le trasmissioni commerciali e la programmazione pubblicitaria, mettendo lo strumento a disposizione delle forze dell’ordine, della protezione civile e di quanti volessero comunicare. Non esistevano i social e la radio era il mezzo più immediato per comunicare qualsiasi emergenza da un lato all’altro della città. Una sorta di centro di coordinamento h24 per una settimana».
Qual è il segreto della vostra longevità?
«Abbiamo sempre fatto delle scelte precise, a volte controcorrente. Sia dal punto di vista degli argomenti, della linea editoriale che della selezione musicale. Durante il Covid, ad esempio, abbiamo deciso di non dare alcuna notizia e non fare cenno a quanto accadeva; abbiamo preferito diffondere solo il buon umore. Spesso poi ci siamo trovati dalla parte degli ascoltatori: all’epoca si usava dire che “l’ascoltatore va educato”. Noi partiamo dal presupposto opposto: ascoltiamo l’ascoltatore ed esaudiamo le sue esigenze. Sono gli ascoltatori a dirigere le nostre scelte musicali ed editoriali».
Trova che rispetto al passato la radio sia “invecchiata”?
«Dal mio osservatorio distinguo due situazioni: da un lato le radio nazionali che si sono molto omologate; dall’altro le locali che hanno ancora voglia di sperimentare. Attraverso di noi, ad esempio, sono diventati popolari i Boomdabash, i Sud Sound System, Alessandra Amoroso; abbiamo sempre dato spazio ai nuovi generi, sia in passato che oggi con le nuove tendenze in voga tra i giovanissimi. Ora da noi in testa alla classifica di gradimento c’è un brano di “Tropico” che si chiama “Soli e disperati in un mare meraviglioso” e che nessuno conosce ma di cui sentiremo parlare».
Da decenni si dice che la Radio sia destinata a soccombere ed invece resiste.
«La marcia funebre ce la stanno suonando da un po’ ma la radio non muore. Sicuramente c’è tanta frammentazione che crea distrazione: la radio però riesce ad utilizzare tutti i mezzi esistenti insieme, ed è sempre più presente sui social. Riesce a trasformarsi, è camaleontica».
Ci racconta qualche episodio curioso legato a Ciccio Riccio?
«Ciccio Riccio nasce in uno scantinato che poi si è trasformato e ingrandito: la sede ora ha diversi piani ma non siamo mai riusciti ad abbandonare quel luogo che è parte essenziale di noi. C’è un pezzo che è storia nella storia: lo spazio dove ci sono gli studi di registrazione è un rifugio antiaereo della seconda guerra mondiale. Agli inizi, in quel luogo avevamo sempre problemi con il bagno, che spesso non funzionava. Così quando artisti e cantanti chiedevano di utilizzarlo li mandavamo da mia mamma o da mia zia che abitavano sopra gli studi».
Tra i volti che hanno fatto la storia di Ciccio Riccio c’è sua figlia.
«Si, a parte qualcuno che purtroppo non è più tra noi, come Dario Bresolin, Valentina, insieme a Paolo Molfetta, è una voce storica di questa emittente. L’illuminazione del nome venne proprio da lei: cercavamo da mesi qualcosa di originale e diverso. Una sera, tornando a casa ho soccorso un riccio di campagna che ho portato con me, affinché lo vedesse, prima di liberarlo. Mentre io le spiegavo che si trattava di un riccio, lei ripeteva Ciccio, aveva due anni. E così venne la genialata tanto che lo abbiamo inserito nel logo ufficiale. Da allora ha sempre lavorato al mio fianco ma è quella che ha fatto più gavetta tra tutti i collaboratori; ho sempre voluto che arrivasse ad essere una professionista preparatissima e che nessuno potesse dire che è li perché è mia figlia».
Oltre la radio?
«Il nuoto, sono un appassionato e sono riuscito a togliermi più di qualche soddisfazione partecipando a diverse gare agonistiche. Lo scorso anno ho preso un bronzo ai campionati nazionali nella mia categoria. E per me vale tantissimo».
Un sogno?
«Conservo ancora in un deposito la prima strumentazione della prima sala di trasmissione di Ciccio Riccio mi piacerebbe ripristinarla e farne una sorta di museo. Ci vuole tempo e tanta dedizione, ci arriveremo».
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