Cinque anni di Torino e non sentirli. Il primo cerchio delle Atp Finals si sta per chiudere ed era un cerchio di fuoco: Torino l’ha attraversato non senza problemi ma con sempre più coraggio tanto da riuscire a convincere anche gli scettici. Tra questi non c’era Andrea Gaudenzi, no, ma certamente il presidente dell’Atp qualche preoccupazione ce l’aveva. Tutte spazzate via.

Così: che voto si merita Torino?

«Il giudizio globale è molto alto, non dimentichiamo che siamo partiti con il Covid: alla tensione per la scelta si aggiungeva quella legata alla pandemia. Da allora, però, è stato tutto un crescendo. Un voto? No, sarebbe riduttivo».

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È da 55 anni che gli otto maestri si disputano la corona del migliore: se ce n’è uno, qual è il valore aggiunto di Torino rispetto alle precedenti sedi del torneo?

«Il modo in cui l’evento viene vissuto in città. Si respira tennis ovunque. E non lo dico solo io che di edizioni ne ho vissute molte meno di 55».

Tutto molto bello. Tanto da decidere di assegnare all’Italia altre 5 edizioni del torneo. Ma con la nuova legge dello sport il governo entrerà nella gestione delle Finals. Partner non proprio gradito dall’Atp.

«Noi abbiamo firmato un contratto con un soggetto privato che è la Federazione italiana tennis e padel. E abbiamo confermato le Finals per le conoscenze e competenze organizzative della federazione. Vogliamo continuare a fidarci ed affidarci a loro».

Sì, ma la legge c’è e indietro non si torna. A questo punto l’Italia rischia la revoca dell’assegnazione?

«Sì, l’Italia potrebbe perdere le Finals. Le guerre di potere sono dannose, credo che il governo farebbe meglio a intervenire sulle infrastrutture degli impianti. Prendiamo il Roland Garros e il Foro Italico: negli anni Settanta gli impianti erano simili. Avete visto come si è trasformata Parigi grazie anche agli interventi statali? Identica cosa ha fatto lo Stato di Victoria a Melbourne per gli Australian Open».

Avete scritto una lettera alla Fitp chiedendo spiegazioni, il presidente Binaghi dice di essere pronto a dimettersi. Quando e come finirà?

«La nostra posizione è chiara. Lascio a Binaghi il compito di trattare con il governo. Non tocca ad Atp farlo».

Nel frattempo avete stretto il patto con il diavolo. Nel 2028 l’Arabia Saudita ospiterà un torneo Masters 1000, il decimo del calendario. Anche un modo per bloccare ogni loro velleità di circuito alternativo all’Atp?

«Per il tennis, e non solo, quella è un’area geografica ed economica fondamentale: era giusto far salire a bordo investitori così importanti. Ora si tratterà di ottimizzare i calendari: ovvio che si dovrà giocare prima di marzo, quando cominciano Indian Wells e Miami».

Ecco, i calendari. I tennisti a vario titolo si sono lamentati, soprattutto di dover giocare in certe condizioni: «L’Atp vuole forse il morto in campo prima di intervenire?», lo smash di Rune dopo le torride corride in Oriente. Che cosa gli risponde?

«Che ha ragione e che proprio a Torino discuteremo come inserire dal 2026 gli indici di temperatura e di umidità come già fanno gli Slam e la Wta».

I tennisti si lamentano dei tanti tornei e poi, però, riempiono le pause con le esibizioni. Come ci si mette d’accordo?

«Li ascolteremo. Ma ci sono troppe sigle da armonizzare: Atp, gli Slam, la federazione internazionale. I tennisti sono freelance, ma sono disposti a collaborare. Però deve essere chiara una cosa: un Masters 1000 porta benefici economici anche ai tornei minori, le esibizioni che si moltiplicherebbero nelle eventuali finestre del calendario solo ai giocatori».

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L’accusa di Zverev: «Ormai adattano le superfici dei campi in modo che la finale sia sempre Sinner-Alcaraz». Come si difende il presidente dell’Atp?

«Il presidente dell’Atp è stato un giocatore che in carriera si è sempre lamentato moltissimo. Delle palle, della superficie, di ogni variabile al mio tennis quindi Zverev mi fa sorridere».

Ma ha ragione?

«Velocizzare la terra battuta e rallentare i campi veloci ha fatto bene al tennis. Prima sembravano sport diversi in base alla superficie. Ora però non esageriamo».

Sinner-Alcaraz: per qualcuno siamo già all’assuefazione. Possibile?

«Ma non scherziamo. Per anni sono stati Federer, Nadal e Djokovic a dominare e nessuno diceva niente. E ora Nole non è che esca al primo turno. E poi arriverà Fonseca… Abbiamo visto la favola di Vacherot. Il tennis sa sempre come rinnovarsi».

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Però, l’ha detto lei, c’è il rischio che il pubblico vada in overdose di tornei. Conferma?

«Si, nel rivedere i calendari dovremo stare attenti. Servirà far digiunare gli appassionati perché poi torni loro una grande fame».

Chi digiuna sarà Sinner che ha detto no alla Davis. A Milano, anno 1998, lei gioca la finale con la Svezia e oltre alla coppa, sul campo lascia lacrime e una spalla prima di ritirarsi. Da ex davisman come giudica la scelta di Jannik?

«La comprendo».

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Ma la maglia azzurra, la finale in casa: tutta retorica?

«Intanto un tennista rappresenta il proprio Paese anche quando gioca un torneo individuale. A me piaceva di più la vecchia formula della Davis, con le partite in casa e fuori. E comunque, se deve diventare come una coppa del mondo, allora che prenda almeno una cadenza biennale. Diventerebbe più attrattiva».