di
Marco Imarisio

Intervista a Nikolaj Rybakov, leader di Yabloko, l’unico partito russo contrario alla guerra: «L’Ue non fa abbastanza. Per noi pace significa che la gente smette di morire, da una parte e dall’altra. Non so se ci lasceranno partecipare alle elezioni»

MOSCA – «Siamo ancora qui, ed è già qualcosa». La risposta al più classico «come sta?» non è soltanto una semplice battuta. Fa sempre impressione entrare nella sede di Yabloko, tappezzata da frasi contro la guerra, di Andrej Sakharov, George Orwell, Victor Hugo.

Nikolaj Rybakov, presidente dell’unico partito russo dichiaratamente pacifista, è appena tornato dal tribunale, dove un giudice ha confermato il carcere preventivo almeno fino a dicembre per il segretario moscovita, accusato di aver diffuso «notizie false che screditano l’esercito». Altri casi simili a Pskov, San Pietroburgo, Mosca. Se tre indizi fanno una prova, qui ce ne sono in abbondanza.



















































Cosa sta succedendo?
«Molto semplice. Il nostro sistema politico si basa su due partiti. Russia Unita, espressione della volontà del presidente Putin, e poi una galassia di piccole formazioni sue alleate che va dai comunisti agli ultranazionalisti, per ragioni diverse tutti convinti sostenitori della guerra. Dall’altra parte ci siamo solo noi. E basta. L’anno prossimo, ci sono le elezioni politiche».

La pace non deve avere alcuna rappresentanza?
«Almeno due terzi dei cittadini russi ne ha abbastanza di questa guerra. Anche quelli che all’inizio la sostenevano. Nelle case, in privato naturalmente, si parla sempre più di quanto sia necessaria la pace. Tante persone la pensano come noi. Lo dicono i sondaggi, ma questa opinione non deve avere espressione politica. Altrimenti, bisognerebbe riconoscerne l’esistenza».

Leggere a voce alta il nome delle vittime della repressione staliniana, come avete fatto promuovendo una catena umana in occasione della recente Giornata della Memoria, è anche una forma di ribellione?
«Non è certo casuale. Oltre all’eliminazione dei presunti nemici, quel sistema repressivo voleva ottenere un risultato: la gente doveva avere paura, doveva essere spaventata alla sola idea di dire la sua opinione. Oggi è in corso un processo di re-stalinizzazione della società. Un ritorno in chiave moderna a quei metodi».

Come mai i processi e l’etichetta di agente straniero colpiscono sempre più spesso anche persone di potere allineate al Cremlino?
«Ogni dirigente, ogni funzionario, deve avere paura. Nessuno deve sentirsi al sicuro. Il principio, oggi come nel passato, rimane lo stesso. Sono le stesse pratiche, che stanno ritornando in forma diversa».

L’apparente sostegno di cui gode Putin nel Paese è solo frutto di questo?
«Non credo che il suo consenso sia alto come si dice. Non più, almeno per quel che riguarda la guerra. Ma la propaganda serve a questo: a convincere la gente, anche gli scettici o i contrari, che su 150 milioni di persone nessuno tranne Putin è adatto a fare il presidente».

Putin ha bisogno della guerra?
«Vorrei tanto credere che stia cercando una via di uscita. Vorrei che il nostro slogan “Per la pace” smettesse all’improvviso di essere attuale. Ma sinceramente, non vedo come questo possa accadere».

Per quale ragione Yabloko è molto critico verso i leader europei?
«Noi siamo convinti che l’Unione europea dovrebbe promuovere un processo di pace, non prepararsi a un’altra guerra. Perché prima o poi, una pace ci sarà. Ma ogni giorno che passa dal 24 febbraio 2022 la allontana sempre di più, mentre invece molti credono che in questo modo potrebbe avvicinarsi».

E dell’Ucraina cosa ne facciamo? Ci pensa Putin?
«Non ho detto questo. E non ho una soluzione da offrire. Per noi pace significa che la gente smette di morire, da una parte e dall’altra. Chi darà qualcosa a qualcuno, è una cosa che riguarda la diplomazia. Ma andando avanti, c’è il rischio che nessuno avrà più niente. Per Putin, conta molto cercare una contrapposizione con qualcuno. L’Europa lo sta favorendo in questo. La tesi che lui debba essere sconfitto sul campo, o gli debba essere inflitta una umiliazione, è controproducente. Dando per scontato che è quasi impossibile trattare con il Cremlino: ma davvero non ci sono altre idee, altre proposte?».

Lei teme una escalation?
«Le rispondo con una delle frasi appese qui, fuori dal mio ufficio. Sakharov, del quale in Russia è naturalmente passato inosservato il cinquantesimo anniversario del Premio Nobel per la pace, diceva che una guerra nucleare può cominciare da una guerra convenzionale. Ma la guerra convenzionale nasce sempre dalla politica. L’idea che la guerra come soluzione sia impossibile sembra scomparsa dalla concezione della vita quotidiana. In Russia, dove, come vede, portarla avanti è molto complicato, ma anche altrove».

Yabloko sarà presente alle prossime elezioni?
«Non lo so se ci faranno partecipare. Ma non stiamo parlando del destino di un singolo partito. Qui si tratta del futuro della Russia, e quindi anche del mondo».

2 novembre 2025