Il Granata della Porta Accanto/ Si dice che un tifoso del Toro sia prima di tutto un anti juventino…
Si dice che un tifoso del Toro sia prima di tutto un anti juventino ancor prima che un supporter della propria squadra. Sebbene probabilmente sia un iperbole che non rispecchia al 100% la verita, ho sempre personalmente amato molto questo aspetto del nostro essere torinisti e l’ho sempre considerato una medaglia da appuntarci al petto con grande orgoglio. Se infatti nella vita spesso si è un po’ confusi su cosa o chi si vuole essere, al contrario, sovente, si ha ben chiaro cosa o chi NON si vuole essere. E per me è sempre stato molto chiaro sin da piccolo che non volevo essere come “quelli là”. Non c’è nulla, infatti, della loro “filosofia” sportiva che condivido: se la frase “vincere è la sola cosa che conta” è il motto di “quelli là”, ribadisco che non c’è niente del loro universo che mi tange e mi può coinvolgere. Niente. Essere del Toro, nel mio modo di vedere la vita, è bellissimo ed essere anti juventino non è nient’altro che un conseguente e naturale atto di coerenza e di integrità indispensabile per delimitare il perimetro del mio tifo e della mia visione dello sport, e non solo. Leggo dell’arrivo di Spalletti sulla panchina bianconera e mi chiedo come sia possibile per loro accettare qualunque cosa in nome della brama di vittoria: un allenatore che dichiara che non avrebbe più allenato nessuna squadra in Italia e poi corre al capezzale della Juventus della quale è stato avversario anche duro nelle sue esperienze al Napoli, alla Roma, all’Inter e anche parecchio tranchant nelle sue dichiarazioni anti Juve, è un allenatore che, a parti inverse, non avrei mai voluto sulla panchina del Toro. Perche è vero che noi siamo romantici e spesso ci diamo la zappa sui piedi rifiutando a priori alcune figure (Gasperini, ad esempio, per i trascorsi bianconeri e il famoso Toro-Genoa del 2009) ma io sono contento che per fortuna conserviamo una dignità ed una coerenza che è sempre più rara nel nostro mondo. Quando si parla di identità tra club e suoi tifosi e tra club e suoi calciatori è proprio questo quello a cui dovremmo riferirci: scegliere tra i tecnici e i giocatori quelli che maggiormente si adattano al DNA del club e che abbiano un trascorso sportivo in linea con quelli che sono i valori nei quali i tifosi stessi si identificano.
Nel calcio moderno si tende a far passare il concetto che calciatori ed allenatori, essendo professionisti, oggi siano qui e domani siani lì, in un balletto che vede normale indossare colori di volta in volta spesso in contrasto tra loro. Certo, il professionista presta i suoi servigi al miglior offerente e sempre al massimo delle sue capacità, ma nulla vieta che ci sia sempre la possibilità di scegliere e di scremare per caratteristiche e per curriculum i professionisti che verranno a lavorare per noi. E il Torino, proprio per la sua peculiarità, dovrebbe avere una “policy” molto stretta su questo aspetto.
Senza voler mettere il carro davanti ai buoi, sarei contento se dopo questa giornata di campionato il divario in classifica dalla Juventus potesse diminuire o almeno rimanere tale e quale in modo da affrontare il derby con la concreta possibilità in caso di successo di raggiungere o superare la squadra di Spalletti. So che è sciocco pensare a questo perché c’è da battere il Pisa, cosa per nulla scontata, anzi, molto più ostica di quanto le posizioni attuali delle due squadre possano far pensare, ma da tifosi si vive di motivazioni e di sogni e battere la Juve, o esserle davanti in classifica anche solo per un giorno ogni tanto, dovrebbe essere una di quelle soddisfazioni che ti riconcilia con molte cose: con la fatica, a volte, di essere granata e con la gioia a volta inaspettata con la quale possiamo essere ricompensati della nostra fede.
Due facce della stessa medaglia. Perché non è una mera questione di vincere con loro (ricordando che non lo facciamo da troppo tempo e non lo abbiamo praticamente mai fatto negli ultimi trent’anni), ma è una questione di dimostrarci e dimostrare che quello in cui crediamo non è vano e non è utopistico. E in questo vorrei che anche la presidenza non si limitasse a fare il discorsetto motivazionale all’allenamento del venerdi al Filadelfia, ma trasformasse il Filadelfia nella tana delle tigri. Tutti i giorni, tutto l’anno, tutti gli anni. Come non ha fatto in questi vent’anni. E vorrei inoltre che desse un’anima a questo club e ai suoi calciatori, inculcando negli staff tecnici degli input ben chiari di cosa si pretende da chi viene mandato in campo e lavorando e scegliendo i propri collaboratori in virtù di questo. Non è vero che noi granata siamo perdenti: mente sapendo di mentire chi lo afferma. Vincere per noi granata è l’ultimo step di un percorso che ha i suoi riti, ha i suoi passaggi obbligati ed ha le sue condizioni uniche, probabilmente, nel panorama calcistico mondiale. È vero che c’è da pensare al Pisa, ma è anche vero che la vicenda Spalletti, scoppiata quasi alle porte di un derby, ha riaperto in me una finestra su cosa so da sempre: che non voglio essere come “loro” e che mi piacerebbe che questo si vedesse anche in campo. Nei derby, ovviamente, ma anche in tutte le altre partite, a cominciare proprio da quella col Pisa.
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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