La polemica sui test nucleari aperta quasi distrattamente da Trump prima di incontrare Xi Jinping in Corea divampa, e inoltre il presidente americano sembra che si sia attribuito un primato che non ha, avendo detto che l’America è il primo Paese al mondo per numero di testate nucleari: prima della Russia e della Cina, mentre in realtà la Russia è in testa per numero di ordigni. Ma il numero non è così importante perché si tratta di sapere esattamente quante di queste armi letali di massa sono pronte all’uso.

Test nucleari

Nella retorica di Trump, lui e l’America vogliono un mondo pacifico, basato sul commercio e denuclearizzato, un mondo che si può ottenere soltanto conoscendo in modo operativo lo stato di prontezza attuale all’uso di queste armi. E questa ricognizione, ha lasciato capire Trump, può includere o non includere test nucleari sotterranei che sono stati concordemente aboliti nel 1996 con un trattato che avrebbe dovuto portare la firma di tutte le potenze atomiche del tempo ma che invece rimase una forma di intesa cui da trent’anni tutti si attengono. Nessuna meraviglia quindi che Vladimir Putin, il quale sta passando un periodo che – per scelta delle parole, temi trattati e minacce esplicite – sembra prossimo all’isteria non mostri inclinazione a discutere sui dati di realtà. Da una settimana veste l’uniforme militare dalla mattina alla sera e parla soltanto di missili nucleari e di successi insuperabili delle sue armate. È quindi ovvio che abbia colto la palla al balzo offertagli da Trump per dire che lui non ci sta e che se Trump intende far esplodere ordigni, lui prenderà delle contromisure “sopraffacenti”, senza specificare quali.

Il comportamento di Trump

In televisione il presidente russo parla da un teatro televisivo dove si registrano le dichiarazioni dirette all’estero, cosa che ormai avviene quotidianamente. Non sorride, parla in termini retorici di vittoria immancabile e sta sostenendo di aver offerto a Zelensky la resa nel Donbass garantendo la vita ai soldati ucraini imbottigliati nell’accerchiamento delle sue truppe. Gli Stati Uniti spendono ogni anno decine di miliardi di dollari per arricchire il loro arsenale di armi e di infrastrutture idonee per farle funzionare. L’arsenale americano è fatto di circa 3.700 testate di cui 1700 in posizione di lancio, secondo quello che dichiara la Federazione degli Scienziati Americani che segue da anni questo tema. Le armi nucleari possono essere trasportate con aerei B-2 o B-52, o lanciate da silos sul territorio americano o da sottomarini nucleari con lanciamissili. Se l’America non possiede più testate nucleari di quante ne abbia la Russia, ne ha però di miglior qualità e in buono stato di manutenzione rispetto a quelle di Putin perché il ministero della difesa americano ha speso negli ultimi trent’anni 1,7 trilioni di dollari cui si deve aggiungere la spesa per l’innesco delle armi nel momento del loro uso, il programma “Stockpile stewardship” e che costa 25 miliardi l’anno.

È interessante notare come la maggior parte di queste strabilianti cifre non siano usate per la costruzione materiale dei missili e delle testate. Il complesso nucleare americano, stando al New York Times, include centinaia di macchine e di strumenti usati da migliaia di lavoratori e di scienziati che svolgono questo ruolo. I meccanismi sono in genere i super computers più potenti del mondo con macchina a raggi XE sistemi laser della misura grandi quanto uno stadio e nessun’altra nazione possiede un tale numero di attrezzi per mantenere sotto controllo, dunque testare, le armi nucleari. Probabile che quando Donald Trump parla della superiorità americana non si riferisca soltanto al numero delle testate dei missili ma al valore dell’innovazione e della manutenzione che richiede quasi 70.000 ha addetti che crescono costantemente dal 2018. Gli americani non hanno più fatto esplodere un ordigno sotterraneo dal 23 al settembre 1992 usando un ordigno pari a un terzo della bomba che fu sganciata su Hiroshima nel 1945 e non si hanno dati ulteriori.

Nel 1993 il presidente Bill Clinton annunciò un trattato internazionale per mettere al bando i test sotterranei: il trattato non è stato mai firmato ma è stato osservato come se fosse un dato di fatto. Il luogo in cui gli americani usavano fare esplodere le loro testate era il deserto del Nevada su una superficie più grande dello Stato di Rhode Island. Esiste poi un documento del Dipartimento dell’energia rilasciato nel 2013 in cui si afferma genericamente che “il numero di test sulla prontezza delle armi nucleari dovrebbe essere varato per mettere in linea le armi americane con quelle delle altre nazioni”. Il documento non ha avuto alcun seguito. Gli scienziati affermano che l’America non ha alcun bisogno di far esplodere ordigni per condurre dei test nucleari, in proposito un dettagliato rapporto è stato inviato al Congresso, in cui si afferma che l’insieme dell’apparato missilistico americano nel suo complesso non per numero di testate non ha uguali in alcun altro paese. L’ultimo ordigno noto della produzione americana sarebbe il W93, piccolo ma capace di produrre energia pari a migliaia di bombe di Hiroshima.

Ma i dati di realtà, in questo momento, hanno scarso valore perché la partita che si sta giocando è fondata sulla comunicazione, la propaganda, le minacce e non su un realistico esame delle armi di ciascun paese. In ogni caso a Vienna esiste un Agenzia internazionale composta di cento stazioni di monitoraggio alle quali non sfugge il più piccolo movimento della terra, dai terremoti alle eruzioni vulcaniche, non parliamo delle esplosioni. È del tutto irrilevante a questo punto sapere se Trump avesse davvero intenzione di provocare Putin nonché le altre potenze del gruppo dei Brics o se intendeva riferirsi in maniera allusiva e disordinata a dati già noti e pubblici in tutto il mondo.
Il risultato più crudele e immediato di questi sviluppi è la spinta militare dalle forze di Putin scaricate su quelle di Kiev, che stanno ottenendo successi non sufficienti per dichiarare la vittoria ma quanto basta per far riflettere Kiev e valutare fino a che punto valga la pena combattere, se gli americani non sbarcheranno i nuovi rifornimenti per il mese di novembre. Fino ad oggi non si sono visti e anche questo è un dato di fatto.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.

Paolo Guzzanti