Alle 13 dell’1 novembre, bagnato dalla testa, ai piedi bussa al portone della caserma dei carabinieri. Trema, ha la felpa zuppa. È appena uscito dal fiume Dora. Ha le sopracciglia rasate e così i capelli, in testa gli resta solo qualche ciuffo. Nel suo sguardo ancora il terrore della notte che ha vissuto.

Cammina piano, a fatica, a fargli forza è la madre. Lo segue tenendogli una mano sulla spalla: «Racconta tutto». E cioè che è stato rapito, vessato, torturato per una notte da una violentissima baby gang nel giorno di Halloween.

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Il ragazzo ha 15 anni. E fa quello che gli dice la mamma. Ricostruisce la storia tre volte ai militari dell’Arma. Non tentenna, ripete i dettagli con memoria ferrea. Dice la verità, per gli investigatori. «Due ragazzi mi hanno portato in una casa a Torino. Mi hanno sequestrato il telefono e chiuso in un bagno per ore. Mi hanno rasato, picchiato e poi buttato nel fiume a petto nudo. Mi hanno sputato addosso dal ponte. E poi mi hanno lasciato alla stazione».

È una storia che anche i militari fanno fatica a digerire. Ma conoscono quei ragazzi di cui il quindicenne parla. Anche loro sono minorenni, suoi coetanei. Uno dei due è un compagno di scuola. Fanno parte di una baby gang ormai tristemente nota nei comuni della cintura sud di Torino: Moncalieri, Nichelino e Trofarello. Sono ragazzi, così giovani ma già con diversi guai con la giustizia alle spalle, che se la prendono con le prede più facili: ragazzi della loro età che girano da soli e difficilmente si possono difendere. Così è accaduto l’altra sera.

QUARTIERI

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È la notte di Halloween. Il 15enne ha in programma di passare la serata a casa del nonno. Ma a scuola lo avvicina un compagno, lo invita a passare la notte insieme. Lo convince e lui accetta. Sarà l’inizio di un incubo.

Lo capisce appena mette piede in un appartamento di Torino che non ha mai visto prima. Ci sono lui, il suo compagno di scuola e un terzo amico. Nessun adulto. «Subito mi hanno tolto il telefono» racconta ai carabinieri. Al nonno, che lo aspetta per cena, non arriva nemmeno un messaggio. E poi? «Mi hanno chiuso in bagno per ore» aggiunge il giovane. Cos’è successo lo spiega la madre: «Questi mostri l’hanno torturato. L’hanno picchiato e minacciato con un cacciavite. L’hanno rasato, lasciando solo alcuni ciuffi di capelli, poi hanno preso una lametta e gli hanno rasato anche le sopracciglia, facendo dei tagli sulla palpebra dell’occhio».

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È solo l’inizio di un orrore che continua fuori casa. I due bulli lo avrebbero portato per strada, l’avrebbero costretto a spogliarsi e a entrare dentro il fiume. Se fuori ci sono meno di una decina di gradi, anche la temperatura dell’acqua è di poco al di sopra dello zero. Il giovane non riesce a scappare perché gli altri lo tengono sotto tiro con un cacciavite. Entra nella Dora mentre i due raggiungono il ponte. «Passava il tram, il 4 – dice agli investigatori – Da lassù loro mi hanno sputato addosso».

Terrorizzato, con le sopracciglia rasate e la felpa bagnata, li segue fino a un bar. È mattina, l’alba è già passata. I due bulli gli offrono la colazione prima di abbandonarlo alla stazione di Porta Nuova, come un giocattolo di cui si sono annoiati. Prima di andare via gli ridanno il telefono e lui, finalmente, riesce a chiamare la madre.

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Riesce a dirle poco, con la voce tremante. Racconta tutto dall’inizio, nei dettagli, con lei accanto in caserma. «Mi sono rincuorata quando mi ha telefonato perché finalmente sono riuscita a sentirlo – dice la donna – Ma quando l’ho visto è stato uno choc, il mio cuore si è fermato. Perché tutta questa cattiveria a questa età? Ringrazio a Dio che è vivo ma voglio giustizia».

I carabinieri hanno ascoltato la versione del giovane e raccolto la sua denuncia. Hanno trasmesso in Procura quella che tecnicamente è una notizia di reato. E ora le indagini faranno tutti il resto: gli investigatori ascolteranno i testimoni, analizzeranno le immagini delle telecamere di sorveglianza e anche le celle telefoniche dei tre ragazzi.

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