FONTEBLANDA – È difficile raccontare l’addio di chi non smetterà mai davvero di esserci. Questo 29 luglio è stato l’ultimo giorno di lavoro come medico di medicina generale per la dottoressa Silvia Prompergher. Una donna, dottore per vocazione e dedizione, che per 45 anni ha esercitato il suo ruolo tra le frazioni di Fonteblanda e Talamone, seguendo con passione intere generazioni di pazienti.

Il legame con la professione è nato da giovane, quando al primo anno di medicina già seguiva il padre medico condotto, arrivato a Talamone (da Gerfalco) nel 1956, quando Silvia aveva pochi mesi. Da allora non se n’è più andata. Quando quel 24 giugno del 1980 si è laureata in medicina, ha proseguito il sentiero tracciato dal babbo. Ha fatto della cura una vocazione, costruendo nel tempo un rapporto fatto di ascolto, fiducia e umanità con chi si affidava a lei, rimanendo il volto di quel rapporto medico-paziente che a volte alcuni dicono oggi si sia perso. «Con alcuni dei miei pazienti sono addirittura cresciuta – racconta la dottoressa – con alcuni andavo a scuola insieme. Abbiamo condiviso gioie, dolori, attese e speranze. Ci conosciamo da una vita».

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La dottoressa Silvia Prompergher, con i genitori, il giorno della laurea

Una decisione dolorosa quella dell’interruzione del servizio convenzionato, che non è dipesa dalla sua volontà. Nonostante avesse chiesto di proseguire il suo incarico fino a 72 anni, sembra che l’azienda sanitaria abbia stabilito che non vi fosse necessità di proroga, ritenendo quindi sufficiente la copertura medica nell’area tramite Aft (Aggregazione funzionale territoriale). Ma la realtà, come spesso accade, è più complessa: «Solo un collega ha accettato di venire a Fonteblanda due volte alla settimana per un paio d’ore. Il primo giorno della mia pensione, l’ambulatorio era pieno come sempre. Ma sembrava più un funerale. Come al solito ho continuato a lavorare dalle 8 alle 12.30».

Quando pensione fa rima con libera professione

Chi pensava che la pensione equivalesse a un addio si sbagliava. Perché la dottoressa Prompergher continuerà ad accogliere i suoi pazienti nel suo studio, proseguendo la professione in forma privata: «Non potrò più fare alcune cose come prescrivere attraverso il Servizio sanitario nazionale, ma resterò accanto a chi ha bisogno tramite la libera professione. Tanti mi hanno detto che continueranno a venire da me anche se dovranno pagare. Per me è un onore e tutto questo rappresenta un grande gesto di affetto».

In un’epoca in cui la medicina sembra spesso allontanarsi dalle persone, schiacciata dalla burocrazia, quello della dottoressa Prompergher è un ritorno all’essenziale: «Finalmente tornerò a fare il medico come si faceva una volta, visitando, ascoltando. Prima passavo la giornata a riempire moduli che cambiano ogni giorno, in un mestiere che oggi si svolge più davanti al computer che accanto alle persone che hanno bisogno. Senza tanti moduli da compilare, scadenze digitali e aggiornamenti burocratici continui, saremo solo io, i pazienti e la cura».

La porta dell’ambulatorio non si è mai chiusa del tutto con il pensionamento della dottoressa. Una fine quindi che ha tutto il sapore di nuovo inizio.