Quando la realtà diventa sogno? Quando smettiamo di provare sensazioni tattili concrete e tutto invece diventa parte della nostra mente? Quando è il momento esatto in cui si chiudono gli occhi e, da li a breve, perdiamo il contatto con quello che ci circonda? Non riesco a rispondere a queste domande con chiarezza, ma sono davvero convinto che i Blankenberge siano, al momento, l’unica band che può realmente dirsi capace di musicare un sogno. Forse gli unici che possono anche rispondere alle domande che ho posto sopra.

Noi siamo svegli, stiamo ascoltando la loro musica, il loro ultimo album “Decisions”, ma è come se non fossimo qui, è come se non fossimo realmente presenti: troppo grande, troppo profonda l’empatia che si sprigiona da questi suoni per non lasciarsi andare ed è così che si entra nel sogno, in quella dimensione dove non ci sono spazi, confini, dove succedono cose con fili logici distorti, in cui il mondo può essere a colori e poi immediatmente dopo in bianco e nero, una dimensione il cui fascino sta proprio in quel continuo cambiamento e mutamento che rende spesso i sogni così inintelleggibili. Se siamo in questa realtà, se ci siamo entrati senza nemmeno accorgercene il merito è tutto dei Blankenberge, della loro musica che è realmente ponte tra il fisico e l’onirico, porta perfetta e imprescindibile per varcare le dimensioni spazio temporali.

Il quarto album della band di San Pietroburgo è il superamento di tutte le barriere, è il salto definitivo verso l’apoteosi mistica. Il disco più bello e sublime di un gruppo che, a mio avviso, non ha solo raggiunto i grandi dello shoegaze anni ’90, ma li sta superando, perché nemmeno con gli Slowdive più ispirati ho mai provato un totale senso di abbandono e dissociazione con ciò che mi circonda.

I Blankenberge fanno shoegaze? Fanno dream-pop? Fanno indie? Di cosa stiamo parlando? I Blankenberge ormai stanno semplicemente in un sogno, il sogno della musica celestiale, quella che ci conduce all’estasi assoluta. Pensate bene ai vostri sogni e poi ditemi se questa non è la musica perfetta per descriverli. Io veramente ho dovuto interrompere l’ascolto per scrivere questa recensione, perché il senso di beatitudine e di smarrimento era tale che non riuscivo davvero a scrivere. Avete presente quando si dice che i martiri vedevano Dio? La loro testimonianza di sofferenza era così elevata e di valore inestimabile che, a loro, era riservata la “visione beatifica”, la piena comunione con Dio. Senza volermi paragonare a un martire, ci mancherebbe altro, ho fatto questa citazione proprio per far capire come l’esperienza terrena, quando si fa particolarmente intensa e toccante serve a condurci in qualcosa d’altro, qualcosa che non è più descrivibile a parole. A me è successo questo. Ecco perché, pur avendo sospeso l’ascolto, condizione necessaria per scrivere, mi ritrovo, per la prima volta nella mia vita, senza le parole giuste per parlare dell’album. Non ne sono in grado. Non ci sono termini, non c’è abbastanza vocabolario, non c’è capacità intellettiva personale. E vi chiedo scusa, fedeli lettori, se ammetto questa mia incapacità, ma di fronte a quello che ho appena provato mi sento realmente limitato.

Una scatola, una piccola stanza in un cielo, che magnifica rappresentazione di quello che stiamo ascoltando nella cover del disco. Spazi fisici delineati che sono lì, nell’etere, intimità nell’immensità, distanze infinite che si condensano di colpo e si racchiudono in chitarre tanto fragili quanto fragorose, epicità che ci fa piangere ad occhi chiusi travolti dalla malinconia, mentre la voce di Yana ci guida tra luci e ombre, tra bagliori e tenebre, con una batteria mai così espressiva e un basso che spesso è un vero e proprio cuore che batte. Un Oceano di suoni, un sogno puro e celestiale costantemente cangiante, mentre il freddo e il caldo si susseguono, senza fretta, senza urgenza, a tratti con ripetizioni magnetiche a tratti con esplosioni sonore, in strutture fortemente liquide ma anche magicamente comprensibili, immediatamente avvolgenti, vitali e amabili.

Minimalismo cristallino e superlativo, potenza e intensità che vengono gestiti con mano poetica, squarci che ci sospendono su paesaggi dal candore abbagliante…tutto questo e tanto, tanto, tantissimo altro in “Decisions”, un disco che non è figlio di nessuna scuola no, semplicemente perché questo è un disco che farà scuola.

Manca realmente il fiato…e mi scuso ancora per una recensione così lontana dai miei canoni, ma più che parlare delle canzoni questa volta mi sono sentito in dovere di parlare di emozioni…spero abbiate capito e apprrezzato lo sforzo.