Patricia Urquiola: intervista alla progettista paladina dell’imperfezione.
Progettista, interior e product designer, nonché art director di Cassina, Patricia Urquiola negli ultimi anni ha spinto la sua ricerca, e la sua pratica, sul tema della sostenibilità. Portando anche le grandi aziende del settore a sperimentare idee, fare passi avanti – o, al contrario, a volte fare passi indietro tornando a rivedere progetti e tecniche di un tempo – e soprattutto non dando risposte, ma sistemi aperti, imperfetti, reinterpretabili in maniera resiliente nel tempo. E reinterpretabili grazie a una orizzontalità di pensiero che si interessa alla biologia come alla sociologia, all’edilizia come alla scienza dei materiali, all’arte come alla filosofia. Fresca del Premio Internazionale “Leonardo da Vinci” alla Carriera (per il Design) dalla Florence Biennale, l’abbiamo incontrata. Un cambiamento? No, una metamorfosi.

Patricia Urquiola sul letto Mon-Nid per Cassina.Foto Valentina Sommariva
Patricia Urquiola, architetta, interior e product designer di fama internazionale, negli ultimi anni ha spinto molto la sua pratica sulla ricerca della sostenibilità, una rielaborazione non solo progettuale, ma di metodo, con cui sta disegnando le sue nuove linee guida, pescando dal mondo del progetto come altri lontani o vicini, dalla filosofia alla biologia, dall’arte alla sociologia. L’abbiamo incontrata per una chiacchierata su come sa cambiando il mondo, e come pensa, da progettista dei nostri arredi come dei nostri edifici, lei stessa di cambiarlo.
Le materie prime e i materiali sono fondamentali oggi nella transizione ecologica e lei lavora molto su questo aspetto da anni. Quali sono le conquiste fatte, i limiti, i prossimi obiettivi?
Sicuramente sono un tema fondamentale, siamo totalmente d’accordo in questi tempi, no?Partiamo da un tema importante per me, ossia io penso che la materia non sia neutra: porta in sé tutto un sistema di valori e di vincoli – che possono essere produttivi, ambientali, culturali o sociali. Per me per me è molto importante accettare questa complessità. Ogni decisione che tu fai su un materiale comporta sempre conseguenze, che vanno oltre quello che è la funzione immediata dell’oggetto attraverso il quale stai interpretando la materia. Mi viene in mente, per esempio, una mostra che ho visto al museo del design di Barcellona, intitolata Matter Matters, mi è piaciuta per il fatto che offriva un cambio di prospettiva sul concetto di materia, molto in linea con la mia forma mentis. Dimostrava come i materiali sono dei possibili agenti, hanno una capacità di reagire, ognuno di loro ha una propria storia, un suo impatto, una sua etica. Esiste un’incredibile diversità di materiale, e bisogna chiedersi ogni volta quale sia la sua origine. Una resina e una plastica sono cose molto diverse, così come i materiali di origine animale, che spaziano dalla lana alla pelle, alla seta, tre materie completamente diverse. Oppure pensiamo ai minerali, io li amo molto e l’Italia è tra l’altro un paese che ha molta sofisticata tecnologia in questo settore. Senza poi considerare che anche il digitale, seppur immateriale, è da trattare come una materia, che ha dietro cavi, energie, server, ogni piccolo gesto, anche una risposta “grazie” che dai al tuo server o al tuo ChatGPT, sta movimentando una quantità di energia che è una follia. Quindi mai ringraziare il computer! Occorre innanzitutto lavorare sul riuso e sulle alternative rigenerative. In studio facciamo la nostra biblioteca di materiale, organizzata secondo le origini di ciascuno. Stiamo preparando anche una mostra sul nostro lavoro sugli ultimi 5 anni che sarà al Grand Hornu in Belgio.