L’Unione Europea si prepara a definire la propria posizione negoziale sul nuovo obiettivo climatico al 2040, passaggio intermedio verso la neutralità carbonica fissata per il 2050. Nell’ultima bozza di compromesso, elaborata dalla presidenza danese dell’Ue e datata 2 novembre, compare una novità significativa: un “freno di emergenza” che permetterebbe di rivedere l’obiettivo in caso di carenze negli assorbimenti naturali di CO2.
La misura, pensata per andare incontro alla richiesta della Francia, consentirebbe di adeguare l’obiettivo se le foreste e il suolo europeo non riuscissero a catturare le quantità di carbonio previste. Il testo specifica che tali carenze non potranno essere compensate da altri settori economici, evitando così uno spostamento del peso della riduzione delle emissioni su industria e trasporti. Parigi aveva proposto una riduzione del 3% rispetto al target complessivo di taglio del 90% delle emissioni rispetto ai livelli del 1990, ma questa percentuale non è stata inserita nella bozza danese.
La revisione periodica e i crediti internazionali di carbonio
Il compromesso danese introduce anche la possibilità di rivedere l’obiettivo ogni due anni, sulla base delle valutazioni della Commissione europea. Questo meccanismo di revisione divide gli Stati membri: alcuni temono che possa generare incertezza per l’industria e scoraggiare gli investimenti a lungo termine, mentre altri lo considerano uno strumento utile per garantire flessibilità e adeguamento alle condizioni reali.
Un altro nodo ancora aperto riguarda i crediti internazionali di carbonio, ovvero i progetti di rimozione di CO2 realizzati fuori dai confini dell’Ue. La Commissione propone di consentirne l’utilizzo a partire dal 2036, per una quota pari al 3%, ma alcuni Paesi, tra cui Italia e Francia, chiedono di alzare la soglia al 5% e di anticiparne l’entrata in vigore al 2031. La discussione resta aperta, con i riferimenti a percentuali e scadenze ancora tra parentesi nella bozza di compromesso.
L’equilibrio tra ambizione climatica e competitività industriale
Il confronto tra gli Stati membri si inserisce in un contesto di transizione energetica complesso, in cui le politiche ambientali devono conciliarsi con la sostenibilità economica. Le difficoltà della manifattura europea a competere con Stati Uniti e Cina hanno rafforzato la richiesta di alcuni Paesi di accompagnare gli obiettivi ambientali con misure di sostegno all’industria e ai cittadini.
Il tema dell’“ambizione climatica” si intreccia quindi con quello della competitività: i governi del Nord Europa, tra cui Danimarca, Olanda e Spagna, difendono la linea della Commissione per una riduzione del 90% delle emissioni al 2040, mentre altri, come Italia, Francia e Polonia, chiedono maggiore flessibilità. Varsavia si spinge a proporre un margine del 10%, evidenziando le difficoltà dei Paesi con sistemi energetici ancora fortemente legati ai combustibili fossili.
La posizione dei principali Paesi europei
La Germania sostiene la proposta della Commissione, coerente con il proprio accordo di coalizione interno, ma senza particolare entusiasmo. Italia e Francia si mostrano invece più attive nel negoziato, spingendo per una revisione che tenga conto delle peculiarità dei rispettivi sistemi produttivi e del ruolo delle foreste come pozzi di assorbimento del carbonio. La loro richiesta include sia l’aumento della quota di crediti internazionali sia una maggiore elasticità nella valutazione delle capacità di rimozione naturale della CO2.
Secondo alcune fonti diplomatiche europee, la clausola di revisione introdotta nella bozza danese è vista da molti come un tentativo di equilibrio. Per alcuni governi rappresenta una fonte di incertezza per gli investitori, ma per altri serve a garantire che le misure adottate restino adeguate e realistiche nel corso del tempo.