ROMA – Altro che “Ocean’s Eleven”. La clamorosa rapina al Louvre non è opera di una banda internazionale di cervelloni del crimine ingaggiata da chissà quale superpotenza. Ma di una coppia con figli e qualche amico di quartiere. A dirlo è il procuratore di Parigi, Laure Beccuau, che ha definito gli autori “piccoli delinquenti” di Seine-Saint-Denis, uno dei dipartimenti più poveri di Francia.

Due settimane fa, i ladri avevano messo in scena un colpo da manuale, o quasi. Camion rubato parcheggiato fuori dal museo, montacarichi per salire al primo piano, e in sette minuti via con gioielli della corona dal valore incalcolabile. Il tutto in pieno giorno, una domenica, sotto le telecamere del museo più sorvegliato del pianeta (in teoria)

Un’audacia da film, rovinata da dettagli da dilettanti: attrezzi lasciati in giro, Dna ovunque, e – colpo di genio finale – la perdita del pezzo più prezioso, la corona dell’imperatrice, durante la fuga. Se c’era un premio per l’auto-sabotaggio criminale, l’avrebbero già vinto.

Finora quattro persone sono state incriminate. Una coppia (lui 37 anni, lei 38), sarebbe stata incastrata dalle tracce biologiche trovate sull’ascensore usato durante il furto. Entrambi negano, lei è scoppiata in lacrime in tribunale. Altri due uomini, vecchie conoscenze della polizia, hanno “parzialmente ammesso” il coinvolgimento.

Beccuau, prudente ma non troppo, non esclude la presenza di altri complici. Intanto i gioielli spariti – tra cui una collana di smeraldi e diamanti regalata da Napoleone I a Maria Luisa e un diadema di perle appartenuto a Eugenia – restano introvabili. Le autorità temono che siano già finiti sul mercato nero, o peggio, smontati per il riciclaggio. “Stiamo esplorando tutte le piste”, ha detto il procuratore. Traduzione: al momento brancolano nel buio.