Lucio Corsi non è più una promessa, ma una realtà della canzone d’autore italiana. C’è voluto il secondo posto all’ultimo Sanremo per sdoganarlo da oggetto di culto e di nicchia, ma da allora ha fatto passi importanti, mettendo a frutto l’essere finito sotto i riflettori mainstream senza annacquare la sua proposta, anzi. Rispetto al già convincente tour visto a Napoli alla Casa della Musica, la prova offerta all’ultimo Premio Tenco ha messo in mostra una crescita esponenziale sul palco, forte anche di un risultato eccezionale, la doppia Targa Tenco per il miglior album dell’anno e per la miglior canzone dell’anno (impresa riuscita solo a De André, Conte e Bersani), «Volevo essere un duro», appunto: un po’ Randy Newman, un po’ Ivan Graziani, meno glam rock che negli show precedenti, molta originalità e credibilità.
APPROFONDIMENTI
Per (ri)vederlo dal vivo dovremo aspettare l’inverno 2026 col tour nei palasport, a meno di non approfittare di «La chitarra nella roccia – Lucio Corsi dal vivo all’abbazia di San Galgano», film concerto, girato in pellicola 16mm l’estate scorsa nel complesso del XII secolo a Chiusdino (Siena). Visto in anteprima alla «Festa del cinema di Roma», il documentario è firmato da Tommaso Ottomano, «fratello» artistico, prima ancora che coautore, del cantautorocker: ieri sera il debutto in casa, al The Space di Grosseto, da oggi a mercoledì negli altri cinema del circuito.
La Niña, Tosca, Di Marco & Co: l’altra metà del Premio Tenco
«Tra le rovine di questo luogo magico che si staglia in mezzo ai campi della Toscana, sono atterrati due amplificatori giganti, 16 musicisti e i loro strumenti», ricorda Lucio, alla testa di una formazione allargata, con l’aggiunta di 2 coriste, 4 fiati, un percussionista, oltre all’ormai onnipresente fotografo Francis Delacroix e lo stesso Tommaso Ottomano. Il 14 novembre uscirà il disco dal vivo, dallo stesso titolo del docufilm: «Io mi ricordo di San Galgano fin da bambino, i miei genitori mi ci portavano spesso e negli anni mi è venuta voglia, cioè ho iniziato a immaginarci dentro un palcoscenico. Nonostante l’abbazia non abbia tetto, cosa che consentirebbe alla musica una facile via di fuga nel cielo, le canzoni sono state intrappolate anche in un album live, il cui obiettivo non è la precisione ma il sentimento, dove le spie fischiano, le voci sono rotte e tremano come le luci dei lampioni».
Corsi sa di star vivendo un momento magico, ma anche rischioso, il sistema del pop è spietato: «Sanremo è stata una sorpresa. In questi mesi è cresciuto il numero delle date, qualcosa che sognavo da sempre. Ma io passo le giornate con gli stessi ragazzi da una vita, suono con loro, vivo con loro». Nemmeno l’«Eurovision» lo ha fatto sbandare: «La Maremma mi insegna a tenere i piedi per terra. La casa dove sono nato è circondata da alberi che sbirciano il panorama intorno, vanno in alto, ma rimanendo piantati dove sono nati. È una cosa poetica, ma anche una lezione. La mia terra e le amicizie mi lasciano concentrato sulle cose importanti: la musica, le canzoni e la sincerità tra di noi».
«Il mio sogno», racconta ancora, «è che ci siano due Sanremo, con eguale importanza, che il Premio Tenco abbia lo stesso livello di attenzione e di visibilità del Festival. Io e Tommaso Ottomano con cui scrivo da quando eravamo ragazzini, siamo cresciuti e ci siamo appassionati alla musica in provincia, vivendo in una quiete che è molto simile alla noia e ci ha spinto a fuggire con l’immaginazione attraverso la chitarra. C’è un legame affettivo con gli strumenti, sono loro che ci hanno traghettati da altre parti. Al Tenco mi sembra che queste cose emergano di più», conclude.