Qualcosa si deve cambiare. lo dicono ormai molti dei componenti del variegato mondo del ciclismo, a proposito delle eccessive velocità. Le analisi di fine stagione sono impietose: la media generale delle corse WorldTour, come sottolineato da uno studio su ProCyclingStats, è di 42,913 all’ora che considerando le sole classiche sale a 43,568. Questo significa un aumento di oltre il 5 per cento rispetto a cinque anni fa. Aggiungiamo a questi dati anche quelli relativi al Tour de France, con la maggior media generale della storia, 42,849 con addirittura una tappa (la seconda) oltre i 50 orari.


Come intervenire sul mezzo?
E’ sicuramente un problema, che incide sull’aspetto sicurezza. Le voci che chiedono una riduzione ci sono, ma diventa difficile comprendere il come e soprattutto capire chi deve agire in tal senso, perché è chiaro che l’UCI, per legiferare, ha bisogno di un indirizzo chiaro dal movimento. Questo è un tema che ha attraversato anche altre discipline sportive: nell’atletica, per fare un esempio, quando i giavellotti superarono i 100 metri di gittata mettendo a rischio il pubblico, si decise di spostare il baricentro fortemente in avanti, per ridurre la parabola dei lanci.
Per capire come e soprattutto su che cosa bisogna agire abbiamo analizzato la questione con Wladimir Belli, ex campione e oggi apprezzato commentatore di Eurosport sempre molto attento all’aspetto tecnico del ciclismo.
«Si ragiona tanto sui rapporti – dice – ma a mio parere è quasi un palliativo che non affronta la questione. Partiamo dal peso della bici, 6,8 chilogrammi come minimo, è chiaro che su un mezzo del genere ridurre i rapporti non va a influire così tanto. Secondo me bisogna agire sulle ruote. Bisogna mettere mano alle ruote a profilo alto che danno un grande beneficio in termini di aerodinamica, quindi aumentare e mettere un limite al peso minimo delle ruote perché tutte le parti rotanti influiscono in maniera esponenziale nella performance».


Quanto può influire il peso
Il discorso di Belli va a toccare gli interessi delle aziende, che però potrebbero anche venire incontro a una simile esigenza. Lo hanno fatto ad esempio le grandi imprese di Formula Uno, quando a un certo punto si sono tutte impegnate nel rendere le macchine anche meno performanti ma più sicure, con quel surplus di sicurezza che si è andato a tradurre nella struttura dei telai delle auto di uso comune.
«Io ho fatto un piccolo esperimento – racconta Belli – ho preso la bilancina per alimenti e ho fatto una prova con tre componenti che sono i pedali anni 90, i Time che usava Indurain, le tacchette e le scarpe di allora. Confrontandoli con i prodotti odierni c’è una differenza di mezzo chilo. Può sembrare poco, ma pensiamo di mettere una cavigliera di mezzo chilo su ognuno dei piedi e affrontare una salita, è chiaro che la velocità si ridurrà e i tempi di percorrenza saranno maggiori. E parliamo di componenti non strettamente legati alla meccanica della bici. C’è una ricerca spasmodica della riduzione di peso “esterna” al fisico del corridore, è lì che bisogna agire e torniamo al punto di prima: le ruote sono la componente principale sulla quale si può agire in tal senso».


Le gerarchie resterebbero quelle…
Intervenendo cambierebbero i rapporti di forza o le gerarchie resterebbero quelle che vediamo durante la stagione? «Non ho dubbi in tal senso. Chi è forte è forte lo stesso, non influisce sulle gerarchie. Pogacar non vince certo per qualche etto in meno… Facciamo un altro esempio legato alla Milano-Sanremo: pensiamo di affrontare la Classicissima con ruote più pesanti, la differenza sarebbe abissale, ma soprattutto cambierebbe la stessa struttura della corsa, una Cipressa sarebbe sicuramente molto più importante nella sua evoluzione. Per essere più chiari, stai tranquillo che per scattare in salita bisognerà alzarsi sui pedali e non si andrà avanti seduti come ora… Io sono convinto che alzando il peso delle ruote di un 30 per cento, la situazione cambierebbe profondamente».


Gli influssi sul mercato
Le aziende accetterebbero un regolamento diverso da parte dell’UCI, ad esempio proprio le aziende legate alle ruote: «I cicloamatori che sono la gran parte della clientela, vanno dietro ai professionisti. Qualcuno ricorderà i famosi Spinaci di Cinelli adottati negli anni 90. Quando la Federazione Internazionale li ha vietati, sono spariti anche a livello amatoriale perché si tende a imitare quel che fanno i pro’, ad acquistare gli strumenti del nostro campione preferito. Con quell’accessorio la sicurezza veniva in parte meno perché non avevi i freni.
«Le aziende secondo me non vedrebbero l’ora perché continuerebbero a vendere le ruote dei professionisti. Perché si tende ad emulare quello che fanno loro e potrebbe essere per loro un business. Spingere a utilizzare le ruote che usano i campioni».