
A Lloyd Kaufman, co-fondatore con Michael Herz della Troma Entertainment, non fanno schifo i soldi, anzi.
È solo che non ce li ha.
O meglio: il problema è che non solo non ce li ha in partenza, ma che poi artisticamente parlando non riesce a trattenersi e a creare film che abbiano davvero aspettative anche solo un minimo commerciali, per cui non c’è proprio verso che li faccia. E anche come distributore, pur avendo lanciato talenti come James Gunn, Parker & Stone e gli Astron-6, non ha mai esattamente rischiato di infilare un trend redditizio come la Blumhouse.
Toxic Avenger, nel 1984, diventa il film con cui la sua casa di produzione/distribuzione indipendente trova un inaspettato successo di culto, si fa un nome, crea un intero sottogenere che rimane interno a loro e a cui nessun altro oserà fare concorrenza, e si ritrova in casa la gallina tossica dalle uova d’oro con cui a furia di merchandising finanzierà il resto della sua esistenza. Negli anni ‘90 la New Line si offre per comprarglielo e fare un reboot a budget serio: Lloyd non solo dice “di corsa!”, ma per rendere il brand più appetibile co-produce un cartone animato per bambini intitolato Toxic Crusaders, e gira due sequel in contemporanea dove smorza i lati più estremi. La parte buffa però è che non è affatto vero che smorza i lati più estremi: come dichiarerà in seguito, non aveva la minima cognizione di come ammorbidire davvero il suo umorismo fino a renderlo accettabile per un pubblico mainstream, e il risultato sono due opere stranamente schizofreniche – l’equivalente cinematografico di presentarsi a una festa di gala con la giacca elegante ma le chiappe di fuori. La New Line finisce per acquistare le Tartarughe Ninja (Toxie era comunque il loro piano B), e Lloyd impara la lezione: compromettersi non ha senso. Specie se non si è intrinsecamente capaci. Da quel momento in poi, chiappe di fuori forever e niente più giacca – almeno finché non bussano di nuovo i soldi di una produzione seria.
The Original
Pure il reboot di Toxic Avenger ha una storia lunga e senza senso.
Ve la sintetizzo: nel 2010 si interessa Steve Pink per la MGM, cercando nientemeno che Schwarzenegger per il ruolo di Toxie. L’idea era rispecchiare più lo spirito dei cartoni animati di Toxic Crusaders che i film. Per Lloyd, nessun problema. Ma la pre-produzione si dilunga e non se ne fa nulla.
Il progetto passa di mano e arriva a Macon Blair, attore feticcio di Jeremy Saulnier che aveva già esordito alla regia con I Don’t Feel at Home in This World Anymore (titolo che mi aveva fatto impennare il pretenziosometro). Macon Blair tira su un cast interessante, a partire da Peter Dinklage che viene ingaggiato come protagonista e Kevin Bacon come cattivo.
Macon Blair, si scopre, vuole essere l’uomo della missione impossibile.
Vuole rifarsi ai film.
Vuole rimanere dentro ai limiti del commerciale (e possibilmente del competente), ma vuole omaggiare lo spirito della Troma.
La parte buffa? Non ci riesce. Nemmeno lui.
Nonostante gli sforzi, come capitato in precedenza a Lloyd Kaufman, il risultato è troppo strambo e perde la distribuzione, mettendoci oltre un anno a trovarne finalmente un’altra.
Bella la nostra Luisa
Parliamoci chiaro: è impossibile rifare i film della Troma fuori dalla Troma e dalle sue misere esigenze.
È impossibile rifarli coi soldi senza rovinarne intrinsecamente il gusto, ed è sicuramente impossibile rifarli se hai bisogno che i soldi tornino indietro.
La Troma – e specialmente i film diretti in prima persona dal suo capo Lloyd Kaufman – è un mondo a sé stante. È un viaggio nella mente candida e senza inibizioni di Kaufman stesso. È lo spirito grottesco, sovversivo e senza barriere di John Waters applicato a una versione stupida ed esagerata di Animal House mischiata con certi fumetti punk/indipendenti che potevi trovare ciclostilati nei primi ‘80. Essere respingenti e repugnanti non è solo inevitabile: è una missione. È una formula che, nelle mani della persona sbagliata, potrebbe produrre i film più deprecabili di tutti i tempi e sì, i prodotti Troma cadono spesso sul lato inutilmente infantile e ignorante delle cose, ma in qualche modo continuano a lasciar trasparire una specie di innocenza, di sano normale freaks vs establishment, di qualche intenzione decente tipo la continua battaglia contro l’inquinamento ambientale, che continua a salvarli.
Nel momento in cui Macon Blair aveva i mezzi per tirare dentro un pugno di attori di tutto rispetto come Dinklage, Kevin Bacon, Elijah Wood, Taylour Paige e Jacob Tremblay, il corridoio per il successo si faceva strettissimo.
L’obiettivo minimo: usare qualcosa come Deadpool e I guardiani della galassia come base di riferimento, e poi trovare il modo di prenderne le distanze in maniera netta e distinguibile.
L’obiettivo massimo: riuscire nell’acrobazia in cui riuscì John Waters stesso, che da roba estrema come Pink Flamingos, Female Trouble e Desperate Living riuscì a passare ai più “tradizionali” Hairspray, Cry Baby e La signora ammazzatutti senza perdere un grammo in personalità e potenza.
I bei fumetti pazzi di una volta… (che si fanno ancora, ovviamente)
Ma John Waters è John Waters, e Macon Blair non è nessuno.
Il nuovo Toxic Avenger ci prova, e dimostra vero affetto per la materia originale – forse più da parte di Blair che di Dinklage che è davvero troppo bravo e con un senso di dignità troppo forte. Lloyd Kaufman avrebbe usato uno come lui come uno qualsiasi dei suoi altri freaks, sbandando continuamente tra l’exploitation più grezza e un senso di rivalsa che – come fa ad ogni modo con il suo Toxie originale – pur tifando per i più deboli continua a vederli come una squadra separata, un “noi contro loro” in cui si può cercare soddisfazione solo nella vendetta. Dinklage invece è integrato: è emarginato per il suo carattere esageratamente timido e sottomesso, non per la sua statura. È il modo che trovo generalmente giusto di trattare certi temi, ma nel contesto di un sincero omaggio a chi li affrontava con altro spirito fa un po’ strano, specie perché nell’originale Toxie era un semplice nerd, di statura media, banalmente poco attraente. È come dare l’impressione di voler calcare ulteriormente su un aspetto per poi invece non affrontarlo affatto. E se questa cosa è tutto sommato dibattibile, 100% fuori luogo è invece la sottotrama seria su Jacob Tremblay, per l’ennesima volta nel ruolo del ragazzino affetto da autismo.
Elijah Wood, tra Riff Raff e il Pinguino di Danny DeVito
Eppure il resto sembra a suo modo esserci.
Nonostante il cast rispettabile, c’è la voglia di distinguersi da un Deadpool qualunque rifacendosi a un immaginario più da fumetto underground.
Nonostante i soldi (non tantissimi dopotutto), la confezione presenta diversi momenti grezzi e approssimativi che lasciano a loro modo una certa patina da underdog, da indipendente combattivo. Tra questi il più straniante riguarda banalmente l’idea di sostituire Dinklage con Luisa Guerreiro quando si trasforma in Toxie: la statura è grossomodo la stessa, ma nonostante il trucco pesante è abbastanza plateale che si tratta di due persone dalla diversa fisicità.
L’ispirazione non è sempre delle migliori, ma l’oggetto che ne esce è comunque troppo strambo per essere proposto in scioltezza a un fan dei Guardiani della Galassia (lo sappiamo che James Gunn compare toccandola pianissimo in Toxic Avenger IV?) e una certa integrità è salva. Il messaggio sposta l’attenzione dall’inquinamento industriale alle grosse falle del sistema sanitario e anche questo – diversa mira a parte – viene fatto con coerenza rispetto allo stile Troma, che nonostante l’aria irriverente e sgangherata ha sempre combattuto le sue battaglie sociali.
Si respira, insomma, un’aria simile a quanto successo negli anni ’90 con Tank Girl: gli inevitabili compromessi ammazzano un po’ l’operazione e, nello sforzo di accontentare due target diversi, il tono soffre di diversi sbalzi.
Ma la quantità di splatter è accettabile, e i momenti più riusciti (lo scagnozzo ninja, Peter Dinklage che canta Overkill dei Motorhead) lasciano intravedere se non altro le ammirevoli intenzioni di fondo: per quel che mi riguarda è abbastanza per non odiarlo.
Kevin “Garanzia” Bacon
In chiusura voglio aggiungere alcune cose molto belle.
1) Luisa Guerreiro, che interpreta Toxie post-trasformazione, è sostanzialmente una stuntwoman: lei e Dinklage hanno lavorato fianco a fianco, lui a dirigere la performance di lei (e a doppiarla), lei a incarnare le scelte di lui. Ma è molto bello che tutto questo sia stato raccontato con trasparenza in fase di promozione, mandando spesso in giro anche lei (era al Frightfest) anziché nasconderla come normalmente si farebbe.
2) Ci viene raccontato che a un certo punto era avanzato del budget di marketing che non sapevano come usare in maniera sensata. A quel punto, la produzione ha avuto una delle idee migliori che io abbia visto di recente: coerentemente con i temi del film, ogni dollaro incassato dal film sarebbe stato pareggiato comprandone l’equivalente in debito sanitario pubblico. Difficile spiegare la situazione se non si conosce il sistema sanitario americano e i costi che gravano su cittadini che non sempre possono permetterseli, ma la situazione è talmente grave che esistono pacchetti, pensati appunto per situazioni di beneficenza, in cui in caso di grandi donazioni è possibile comprare parte del debito a una frazione del suo costo reale. Qualche milione è mortificante davanti a un debito totale di 38 trilioni, ma salverà diverse vite, e sinceramente è tutto quello che mi basta per salvare l’intera operazione.
3) Lloyd Kaufman fa una comparsata, ovviamente.
Poster-quote:
“Non mi ha rovinato il karma”
Nanni Cobretti, i400calci.com