Il punto chiave è l’energia, che potrebbe contare più della pura potenza di calcolo: alcune province cinesi già offrono sconti enormi ai data center, a patto che usino soltanto chip prodotti da aziende nazionali. Intanto Pechino taglia fuori Nvidia da tutti i nuovi ordinativi di acceleratori per l’AI

Nessuno ha la sfera di cristallo, ma il parere di Jensen Huang è uno di quelli da tenere in altissima considerazione. Anche perché non usa mezzi termini: «La Cina vincerà la corsa dell’intelligenza artificiale». L’amministratore delegato di Nvidia, l’azienda dei chip che fanno girare l’AI di mezzo mondo e che per prima ha sfondato il muro dei 5.000 miliardi di dollari di capitalizzazione, ha fatto la sua previsione al Summit del Futuro dell’Intelligenza Artificiale organizzato dal Financial Times a Londra. Una dichiarazione che sta già facendo rumore, anche perché il momento non è casuale. Pochi giorni fa Trump ha incontrato Xi Jinping, ma dal vertice non è uscito nessun accordo decisivo sulla vendita dei chip più avanzati alla Cina. L’amministrazione americana continua a vietare l’esportazione dei processori più avanzati di Nvidia – i Blackwell – verso Pechino, che deve accontentarsi di versioni meno potenti. «Non lasceremo che Nvidia li venda a nessuno, tranne che agli Stati Uniti», aveva detto Trump alla Cbs prima dell’incontro.
Huang però è convinto che le restrizioni siano inutili: al Financial Times ha spiegato che la Cina ha tre vantaggi che potrebbero farle vincere la partita. Due sono strutturali: energia a basso costo e poche regole che intralciano l’innovazione. Una è più sociologica: i cinesi hanno, secondo il ceo di Nvidia, una mentalità più propositiva. «Abbiamo bisogno di più ottimismo», ha detto a margine del convegno, riferendosi all’Occidente nel suo complesso, Usa inclusi. E ha attaccato duramente la confusione normativa americana: «Negli Stati Uniti potrebbero arrivare 50 regolamentazioni diverse», una per ogni Stato che vuole dire la sua sull’AI.

APPROFONDISCI CON IL PODCAST

L’arma segreta di Pechino: l’energia quasi gratis

Il punto chiave però è l’energia. Alcune province cinesi (come Guizhou, Gansu e Mongolia Interna) stanno offrendo sconti enormi sulla corrente elettrica ai data center di ByteDance, Alibaba e Tencent. Riduzioni fino al 50% sulle bollette, ma solo per chi usa chip prodotti in Cina. «L’energia è gratis», ha detto Huang con una punta di ironia.
Questi sussidi, finanziati da un fondo governativo da 50 miliardi di dollari chiamato Big Fund III, sono una risposta diretta al blocco americano. Da quando gli Stati Uniti hanno vietato l’export dei chip Nvidia avanzati, le aziende cinesi hanno dovuto ripiegare sui processori di aziende del Dragone, come Huawei e Cambricon. Il problema è che questi chip consumano molto di più di quelli di Nvidia, con bollette schizzate in alto. Pechino ha deciso di risolvere la questione come fa spesso: sovvenzionando il settore con capitali di Stato e abbattendo i costi dell’elettricità.
Può essere un fattore fondamentale: nella corsa dell’intelligenza artificiale, l’energia potrebbe contare più della potenza di calcolo. Ad esempio, Microsoft ha già ammesso pubblicamente di avere Gpu inutilizzate, perché non c’è abbastanza corrente per alimentarle. Elon Musk con xAI sta comprando turbine a gas a migliaia e cerca addirittura di importare centrali elettriche complete. Google sta pensando di creare data center nello spazio per attingere a energia solare a basso costo e alta efficienza. 
In questo scenario, intanto, la Cina ha installato più pannelli solari nei primi sei mesi di quest’anno di quanti gli Stati Uniti ne abbiano mai costruiti nella loro storia. I progressi nel nucleare e nell’idroelettrico potrebbero darle un vantaggio decisivo nei prossimi dieci anni.



















































DeepSeek e il modello low-cost

Huang ha ripetuto più volte negli scorsi mesi che i modelli AI americani hanno soltanto un piccolo vantaggio su quelli cinesi. L’arrivo di DeepSeek – modello cinese a basso costo, per lo meno se comparato a quelli statunitensi come i vari Gpt di OpenAI – non ha sconvolto il mercato come si era ipotizzato in un primo momento, ma ha comunque mostrato un punto chiaro: è possibile realizzare modelli sofisticati con una frazione dei costi dei colossi Usa. 
Per Huang, tagliare fuori la Cina è un autogol. Il danno ai conti di Nvidia ha di certo un peso nella sua posizione, ma il 50% dei ricercatori mondiali di intelligenza artificiale lavora nel paese del Dragone e la maggior parte dei modelli open source più avanzati (come DeepSeek) viene sviluppata lì. «Una politica che ci fa perdere l’accesso a metà degli sviluppatori AI del mondo danneggia l’America più che aiutarla», ha detto durante una conferenza a Washington dello scorso mese.

Non tutti sono d’accordo: il report di Ark Invest Europe

Il parere di Huang, vista la statura del personaggio e il ruolo che ricopre nell’evoluzione dell’AI, va tenuto in grande considerazione. Ma non tutti sono d’accordo. Un report di Ark Invest Europe, ad esempio, ridimensiona le prospettive per la Cina, provando a mettere in luce i limiti strutturali di Pechino. Secondo l’analisi di Jozef Soja, ricercatore di Ark Invest, è vero che le aziende cinesi hanno fatto passi da gigante. Vengono citati punti come il fatto che hanno ridotto a sei mesi il tempo necessario per raggiungere la parità con i modelli americani, e  il già citato dominio del mercato dei modelli «open weight» (quelli scaricabili e modificabili liberamente).
Il problema, però, secondo Ark Invest, sta comunque nell’hardware. La Cina è bloccata alla produzione di chip a 7 nanometri, la tecnologia che Nvidia usava cinque anni fa con i suoi Ampere. Nel frattempo, i chip americani più avanzati – i Blackwell e gli Hopper – usano transistor a 4 nanometri prodotti da Tsmc a Taiwan. La Gpu Ascend 910C di Huawei, che doveva competere con Nvidia, ha avuto ritardi tecnici che hanno fatto slittare il lancio di DeepSeek R2. 
Senza chip all’avanguardia, secondo ARK Invest, le aziende cinesi potrebbero perdere il loro vantaggio competitivo sui modelli economici, soprattutto se Meta e OpenAI, che stanno costruendo data center colossali, riusciranno a colmare il divario sul rapporto qualità-prezzo puntando sulle economie di scala.
La conclusione del report è chiara: per continuare a competere nella corsa all’AI, la Cina deve risolvere i suoi problemi infrastrutturali e hardware. Dovrà negoziare con gli Stati Uniti per ottenere i chip Nvidia oppure dovrà accelerare in modo vigoroso sul fronte dello sviluppo di Gpu buone quanto quelle di Huang. Questa seconda ipotesi sembra quella verso cui guarda Pechino, come dimostra l’ultima mossa cinese.

Pechino e lo stop ai chip stranieri nei data center pubblici

Secondo Reuters, il governo cinese ha emesso una direttiva che obbliga tutti i nuovi data center finanziati con fondi statali a utilizzare esclusivamente chip di intelligenza artificiale prodotti in patria. Non solo: i progetti completati per meno del 30% devono rimuovere i chip stranieri già installati o cancellare gli ordini in corso. È probabilmente la mossa più aggressiva di Pechino finora per eliminare la tecnologia straniera dalle sue infrastrutture critiche. La direttiva cinese chiude di fatto la porta in faccia a Washington, che era disposta a concedere alcuni chip, ma solo quelli meno performanti. Una decisione che impatta direttamente proprio Nvidia: la sua quota del mercato cinese dei chip AI è passata dal 95% del 2022 allo zero di oggi. E questa nuova regola elimina anche la speranza di recuperare terreno. I vincitori sono ovviamente i produttori locali: Huawei in testa, ma anche aziende più piccole come Cambricon, MetaX, Moore Threads ed Enflame. La mossa di Xi spingerà questi produttori ad accelerare la corsa dell’innovazione, ma potrebbe anche ampliare il divario tra Usa e Cina nella potenza di calcolo per l’intelligenza artificiale. 

Per non perdere le ultime novità su tecnologia e innovazione
iscriviti alla newsletter di Login

6 novembre 2025 ( modifica il 6 novembre 2025 | 13:07)