Firenze – Stefano Mele, interpretato nella serie Netflix da Marco Bullitta, nacque in provincia di Oristano nel 1919, emigrò in Toscana all’inizio degli anni ’50 assieme alla sua famiglia. I Mele si stabilirono nella campagna tra Scandicci e Lastra a Signa, dove Stefano, che aveva fatto il pastore in Sardegna, iniziò a lavorare prima come bracciante poi come manovale edile. Conobbe Barbara Locci nel 1958 e la sposò l’anno successivo.

Stefano Mele nella trama del Mostro: dagli amanti (tollerati) della moglie assassinata al figlio Natalino (non suo), vita e misteri del manovale sardo

La coppia Stefano Mele-Barbara Locci: i tradimenti di lei, il figlio Natale nato il 25 dicembre 1961, l’ospitalità ai Vinci, il Dna

La coppia visse a Capannuccia, alla Romola di San Casciano, e a Scandicci a casa del padre Palmerio Mele. Per dissidi interni, forse dovuti proprio alla disinvoltura di Barbara con altri uomini, la coppia (che il 25 dicembre del 1961 aveva visto nascere il proprio figlio Natale) si trasferì in via XXIV Maggio a Lastra a Signa. Qui Stefano e Barbara ospitarono prima Francesco e poi Salvatore Vinci, uomini che, come il terzo fratello dei Vinci, Giovanni, avranno una relazione con Barbara. Un’indagine condotta sul dna nel 2024, ha stabilito che Natalino è figlio proprio di Giovanni Vinci.

 

Salvatore Vinci e Barbara Locci in un momento della serie su Netflix

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L’omicidio di Barbara Locci e dell’amante nell’agosto 1968

Nella notte tra il 21 e il 22 agosto del 1968, quando Barbara venne ammazzata a Castelletti di Signa a colpi di una pistola calibro 22 mentre si trovava in macchina con l’amante, Antonio Lo Bianco (un uomo sposato, padre di tre figli, di origini siciliane ma trapiantato anch’egli a Lastra a Signa), Mele era malato a casa, come disse il piccolo Natalino che dormiva nella macchina in cui si consumò il duplice omicidio.

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L’auto sulla quale furono trovati i cadaveri degli amanti Antonio Lo Bianco e Barbara Locci

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I sospetti su Stefano Mele, la pistola scomparsa, la seminfermità di mente

I sospetti si concentrarono subito su di lui, un marito tradito che però, secondo le testimonianze dell’epoca, aveva sempre tollerato le avventure della moglie anche dentro casa. Ma la pistola che aveva sparato non venne mai trovata e il manovale, che aveva dato una ricostruzione del fatto incerta e lacunosa, non aveva neanche un mezzo di locomozione, ad eccezione di una bicicletta. Giudicato seminfermo di mente, Mele fu condannato a 13 anni di carcere e ad altri due per aver calunniato i due fratelli Vinci, avendoli accusati dell’assassinio avvenuto a Signa, prima di chiedere loro perdono.

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L’auto sulla quale furono trovati i cadaveri degli amanti Antonio Lo Bianco e Barbara Locci nel 1968

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Il ricovero nella struttura per ex detenuti, la morte nel 1995

Al termine della pena, passò gli ultimi anni della sua vita in una struttura per ex detenuti a Ronco dell’Adige, in provincia di Verona. A partire dal 1982, quando venne collegata la pistola del mostro al duplice omicidio del 1968 e fu rimessa in discussione la sua responsabilità per quel delitto, venne nuovamente sentito dagli inquirenti, ma non seppe mai dare un concreto contributo alla soluzione del caso. Morì il 16 febbraio del 1995.

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