Un problema globale: il declino della fertilità nel mondo
Il calo della fertilità maschile si inserisce in un quadro mondiale sempre più preoccupante. Lo studio pubblicato su The Lancet nel marzo 2024, firmato dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (Ihme) dell’Università di Washington, ha stimato che entro il 2100 il 97% dei Paesi avrà tassi di fertilità inferiori al livello di sostituzione (2,1 figli per donna).
Il tasso medio globale è già sceso a 2,2 nascite per donna nel 2021 e, secondo le proiezioni, toccherà 1,6 entro la fine del secolo, ben al di sotto della soglia necessaria per mantenere stabile la popolazione. L’Europa e in particolare l’Italia figurano tra le aree più colpite: il nostro Paese, con un tasso di fertilità di 1,2 figli per donna, è tra quelli destinati a scendere ulteriormente nei prossimi decenni.
«Stiamo affrontando un cambiamento sociale sconcertante – avverte Stein Emil Vollset, coordinatore dello studio -. Mentre la maggior parte del mondo deve far fronte alla contrazione della forza lavoro e all’invecchiamento, altri Paesi, soprattutto africani, vivranno un baby boom in condizioni di povertà e fragilità sanitaria».
Una crisi silenziosa che riguarda anche la salute pubblica
L’infertilità maschile, dunque, non è un tema marginale, ma un indicatore di salute collettiva e demografica. Meno spermatozoi significano meno concepimenti naturali e un ricorso crescente alla procreazione medicalmente assistita, con costi umani ed economici elevati. «Quando una coppia ha difficoltà a concepire – ricorda Salonia – è fondamentale valutare anche la salute riproduttiva maschile. Solo così si può intervenire per tempo e migliorare la prognosi di fertilità».
In un mondo che The Lancet descrive come “spaccato in culla”, con i Paesi ricchi a rischio spopolamento e quelli poveri ancora in piena crescita, anche la crisi dello sperma maschile diventa una metafora biologica della società: sempre più in affanno nel generare futuro.