Da antico appassionato di telequiz, sapevo che esistono le risposte sbagliate. Ignoravo che per qualcuno possono esserlo anche le domande. Un giovane cronista d’agenzia, Gabriele Nunziati, prende la parola a Bruxelles in una non affollatissima conferenza stampa e chiede alla portavoce della commissione europea: «Ci ha detto che la Russia dovrà pagare per la ricostruzione dell’Ucraina. Pensa che anche il governo israeliano dovrebbe pagare per quella di Gaza?». 

Il tono non è provocatorio, tradisce persino una certa timidezza. La portavoce glissa con grande mestiere: «La tua domanda è molto interessante, Gabriele, però al momento non ho una risposta da darti». Di sicuro non sembra sconvolta dal quesito, né urtata nella sua sensibilità di portavoce, abituata a ben altre intemperie.



















































Senonché l’innocuo scambio finisce sui social e da lì nelle abili mani della propaganda russa, che ci monta un caso. Il cortocircuito dei cervelli produce una conseguenza imprevedibile: l’agenzia di stampa Nova interrompe la collaborazione con Nunziati, ritenendolo colpevole di avere posto una domanda «tecnicamente sbagliata», cioè di avere osato paragonare chi ha aggredito l’Ucraina a chi è stato aggredito da Hamas.

A parte che, ben prima di Nunziati, è stata la Corte Penale Internazionale a mettere sullo stesso piano Putin e Netanyahu. Ma vengono un po’ i brividi al pensiero che il giornalista di un Paese democratico possa perdere il lavoro per avere fatto una domanda: giusta o sbagliata che sia.

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7 novembre 2025, 06:08 – modifica il 7 novembre 2025 | 08:59