Drammi autentici, emozioni vere e storie rimaste nell’ombra: tre gioielli nascosti del cinema italiano da vedere su Netflix.

Chi l’ha detto che su Netflix ci sono solo grandi blockbuster americani o serie internazionali? Nel catalogo ci sono anche tanti film italiani che meritano spazio e attenzione: pellicole intime, a volte persino rimaste nell’ombra, ma che sanno parlare al cuore meglio di mille produzioni urlate. Sono storie che nascono da noi, dai nostri paesi, dai nostri conflitti familiari e sociali.

Alcune sono uscite in sala quasi in sordina, altre hanno avuto un momento di visibilità per poi finire nascoste tra le pieghe del catalogo Netflix. Ed è proprio lì che vale la pena andare a cercarle. Ecco tre titoli che raccontano un’Italia diversa, autentica, spesso dura, ma sempre profondamente umana.

Cento domeniche (2023 – prodotto da Amazon Prime Video, Palomar) è uno di quei film che ti colpiscono senza fare rumore. Antonio Albanese, che siamo abituati a vedere nei panni comici di “Come un gatto in tangenziale” o “Qualunquemente”, qui cambia registro e ci regala un’interpretazione intensa e sofferta.

Non solo: scrive, dirige e interpreta questo dramma che nasce da fatti reali, ovvero le storie di chi ha perso tutto a causa di truffe bancarie e crack finanziari. Il protagonista è un uomo in prepensionamento che sogna solo di accompagnare la figlia all’altare, ma scopre di aver perso tutti i risparmi di una vita. Una storia semplice e devastante, ambientata in una provincia che conosciamo bene, fatta di bar, amici, ex mogli, madri fragili.

E proprio quella madre – interpretata da una struggente Giulia Lazzarini – è il cuore emotivo del film. Con il 79% di gradimento su Google e un 6,8 su IMDb, “Cento domeniche” è un piccolo manifesto di dolore e dignità calpestata. Se non lo hai mai visto, merita di essere (ri)scoperto su Netflix: non per farti male, ma per farti sentire qualcosa di vero.

Poi c’è L’ultima volta che siamo stati bambini (2023 – Medusa Film), l’esordio alla regia di Claudio Bisio. Un esordio sorprendente, delicato, capace di affrontare un tema enorme – la Shoah – senza mai perdere la leggerezza dello sguardo infantile.

Tratto dal romanzo di Fabio Bartolomei, racconta la Roma del 1943 attraverso gli occhi di quattro bambini, amici inseparabili. Quando uno di loro, Riccardo, viene deportato perché ebreo, gli altri tre decidono di partire per “salvarlo”. Ne esce un film che mescola avventura, tenerezza, paura e consapevolezza.

Non c’è retorica, non c’è pietismo: Bisio lascia che siano gli sguardi dei bambini a parlare, e questo lo rende un’opera speciale. È stato premiato ai Nastri d’Argento e candidato ai David di Donatello, ma è ancora un po’ un tesoro nascosto per chi ama il cinema italiano contemporaneo. Su Google ha raccolto un 86% di gradimento e un 6,6 su IMDb. Vale la pena guardarlo, fosse solo per lasciarsi sorprendere da un film che racconta la tragedia attraverso la purezza dell’infanzia.

Infine, un titolo più recente e meno conosciuto: Hey Joe (2024 – Palomar, Rai Cinema), diretto da Claudio Giovannesi. Se hai amato il suo “La paranza dei bambini” visibile sempre su Netflix, qui ritroverai la stessa regia sobria e profonda. È la storia di un veterano americano della Seconda Guerra Mondiale – interpretato da James Franco – che torna in Italia dopo 25 anni per conoscere il figlio nato dalla relazione con una ragazza napoletana.

Ma il figlio (interpretato da Francesco Di Napoli) è ormai adulto, padre a sua volta, e non ha nessuna voglia di accogliere quell’uomo come padre. “Hey Joe” è un film silenzioso e potentissimo, che racconta la guerra senza mostrarla, attraverso i vuoti, i gesti, i non detti. È stato presentato alla Festa del Cinema di Roma e ha raccolto l’81% di recensioni positive su Google. Non è un film facile, ma è una di quelle opere che ha ancora molto da dire: chiede di ascoltare più che guardare, di restare, di sentirsi parte di una storia che appartiene un po’ a tutti.

Tre film diversi, tre sfumature di un’Italia che Netflix custodisce e che merita di essere riscoperta. Perché dietro ogni titolo ci sono emozioni, storie vere, pezzi di noi che non sempre abbiamo il coraggio di guardare.