Lo shutdown negli Stati Uniti non rimane un fenomeno confinato alle dispute politiche di Washington (e alle conseguenze negli Usa, vedi le centinaia di voli cancellati negli ultimi giorni).
Gli effetti del blocco temporano di molte attività del governo federale per la mancata approvazione della legge di bilancio si fanno sentire anche in Italia.
Nel nostro Paese migliaia di lavoratori civili non statunitensi sono impiegati nelle basi militari americane. Personale amministrativo, tecnico e logistico che, pur non indossando una divisa, rappresenta un ingranaggio essenziale del funzionamento quotidiano delle strutture delle Forze Armate Usa sul territorio italiano. E che, in caso del blocco federale prolungato, rischia riduzioni di orario, sospensioni temporanee o ritardi negli stipendi.
Shutdown Usa e le conseguenze in Italia
Il nostro Paese ospita alcune delle più importanti installazioni statunitensi in Europa: dalla base aeronautica di Aviano (PN) al comando dell’Esercito a Vicenza (Caserma Ederle e Camp Del Din), passando per la grande base navale di Sigonella (CT), il quartier generale della Marina USA a Napoli (Lago Patria / Capodichino), fino all’area logistica di Camp Darby tra Pisa e Livorno. Qui lavora una comunità stabile di dipendenti italiani che, a ogni serrata federale, come l’ultima particolarmente rilevante, si trova direttamente esposta a decisioni politiche prese a migliaia di chilometri di distanza.
I 4mila dipendenti italiani coinvolti
Sono oltre 4mila i lavoratori italiani impiegati nelle basi militari americane nella Penisola che rischiano di non vedere lo stipendio finché non si sbloccherà lo stallo causato dallo shutdown negli Usa. A lanciare l’allarme sono i sindacati Fisascat Cisl e Uiltucs, che oggi hanno dichiarato lo stato di agitazione, tornando a chiedere un intervento del governo italiano sulla scia di quelli già messi a terra da altri paesi Europei che si trovano nella stessa situazione. Una sollecitazione a cui però l’esecutivo non ha ancora dato risposta. In Italia, d’altronde, il problema pare più complesso.
La situazione delle basi italiane
Tutte le basi americane in Italia danno lavoro a 4.100 dipendenti italiani, assunti direttamente dal ministero della Difesa statunitense nell’ambito di un accordo bilaterale, risalente al 1951, con un contratto collettivo apposito. Si tratta di un Ccnl a sé, che contempla un ampissimo range di posizioni, dal momento che una base militare assomiglia ad una ‘piccola città’ e necessita dunque di numerose professionalità (metalmeccanici, chimici, edili, commercianti) e annesse retribuzioni, che oscillano tra i 1.400 euro per chi si occupa delle pulizie e i 3mila euro per i dirigenti, con uno stipendio medio che si aggira quindi intorno ai 2mila euro.
Applicare di volta in volta i singoli contratti di categoria sarebbe pressoché impossibile, quindi tutti questi lavoratori sono stati raccolti sotto ‘l’ombrello’ di questo ccnl, previsto dall’accordo bilaterale Italia-Usa, firmato da Fisascat Cisl e Uiltucs (il cui ultimo rinnovo risale all’aprile del 2024), secondo cui la forza lavoro che gli americani impiegano in Italia risponde alle condizioni dello Stato ospite e che, all’articolo 30, stabilisce che le retribuzioni vanno pagate entro l’ultimo giorno del mese lavorato.
Cos’è cambiato dal 1° ottobre
Tuttavia, il blocco delle attività amministrative imposto dallo shutdown a partire dallo scorso 1° ottobre pone un problema di natura giuridica: la legislazione americana prevede che i lavoratori possano non essere pagati, quella italiana invece no. Nel dettaglio: la procedura di shutdown consente alle amministrazioni di lasciare a lavoro i dipendenti ritenuti ‘indispensabili’, che non vengono pagati ma hanno la garanzia di un rimborso degli arretrati allo sbloccarsi dello stallo, e di mettere invece in congedo quelli non indispensabili, senza peraltro l’assicurazione di ricevere gli stipendi ‘persi’, perché la decisione è nelle mani del Presidente in carica. In Italia questo scenario non è contemplato: «Non è legale lavorare senza essere pagati, né lo è essere messi in congedo senza forme di ammortizzazione sociale, come ad esempio la cassa integrazione», ha evidenziato il coordinatore Uiltucs Roberto Frizzo all’Andkronos.
La situazione
Secondo quanto riferito dalla comunicazione inviata alle sigle sindacali lo scorso 22 ottobre dalla Jcpc, la commissione paritetica sul personale civile che rappresenta le forze armate americane in sede negoziale, i comandi americani hanno le ‘casse’ bloccate e quindi è materialmente impossibile pagare gli stipendi. Attualmente i lavoratori che a ottobre hanno visto una busta paga vuota sono 1500, impiegati nelle basi di Vicenza, Aviano (Pordenone) e Livorno, quindi nelle basi di Aviazione ed Esercito.
«La Marina dal canto suo è riuscita a ‘barcamenarsi’ grazie a risorse extra accantonate, che però – ha avvertito il sindacalista – non basteranno nel caso in cui Congresso e Casa Bianca non dovessero trovare un accordo nei prossimi giorni, prolungando ancora il blocco e lasciando così a zero anche i lavoratori di Napoli e Sigonella, dove sono impiegati oltre 2mila italiani».
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