Quello che ci ha raccontato Marta Cavalli l’ha confermato Jonas Vingegaard. La sua visione del ciclismo è certamente estrema: il solo modo per partecipare è poter vincere. Ma il danese, che ha vinto la Vuelta dopo essere arrivato secondo al Tour, ha ben spiegato a L’Equipe perché sia stato importante vincere in Spagna. Non tanto per la vittoria di un Grande Giro in sé, quanto per la sensazione di aver ripreso la traiettoria spezzata dall’incidente al Giro dei Paesi Baschi 2024. E anche in questo caso, non tanto per la gravità dell’infortunio, quanto per ciò che ha significato essersi dovuto fermare per dei mesi.

«Ritrovare la condizione ha richiesto tempo – ha spiegato il leader della Visma-Lease a Bike – rimettermi in sella, ma soprattutto tornare al livello a cui ero prima della caduta. Credo di averlo ritrovato. Da quello che vedo nei miei dati, sono in grado di generare la stessa potenza di prima. Ma anche il ciclismo si evolve, quindi in un certo senso per tornare ai livelli di prima c’è voluto un anno e mezzo, in cui invece avrei potuto lavorare per progredire. Prima della caduta ero in forte crescita, stavo progredendo molto velocemente, quindi spero di essere tornato su quella traiettoria. Bisognerà vedere se migliorerò ancora e farò assolutamente tutto il possibile perché ciò accada».

Il ciclismo dei primi è un treno che va veloce, un gruppo costantemente in fuga. Essere costretto a scenderne significa aspettare il gruppo successivo, che va più piano. E per rientrare su quelli di testa c’è da fare una fatica non comune. Chi ci riesce torna a brillare, gli altri devono rassegnarsi. Per una semplice frattura dello scafoide, nel 2023 Pogacar perse il Tour de France. Non sono scuse, sono le regole del ciclismo che non aspetta.

Tour de France 2023, Morzine, Jonas Vingegaard, TAdej PogacarIl Tour de France 2023 vide Pogacar soccombere agli attacchi di Vingegaard, in salita e anche a crono

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Il sogno del Giro

Che cosa ci sarà nel 2026 di Vingegaard? Il Tour resta lo snodo centrale e decisivo. Al contempo la vittoria della Vuelta ha fatto capire al danese e alla sua squadra che sia saggio monetizzare il lavoro portando a casa quel che Pogacar non ha in animo di raggiungere. Forse non è stato per caso che ai campionati europei Vingegaard abbia ammesso che gli piacerebbe cimentarsi nelle classiche e ha messo per la prima volta sul tavolo l’ipotesi del Giro d’Italia.

«Il 2025 – ha spiegato – è stato un’annata piuttosto buona. Non la migliore che abbia mai avuto, penso che il 2023 sia stato di gran lunga migliore. Ma arrivare secondo al Tour de France e vincere la Vuelta non è una brutta stagione. Il mio obiettivo era vincere in Francia, quindi da quel punto di vista non è andata bene. Alla fine potrei darmi un sette in pagella, forse un otto. Il ciclismo esiste anche oltre il Tour de France, anche se resta la gara più importante. Mi sono divertito anche nelle corse di una settimana (Vingegaard ha vinto la Volta ao Algarve ed è arrivato secondo al Delfinato, ndr). Ma non posso dimenticare di essere caduto alla Parigi-Nizza e quella commozione cerebrale mi ha messo fuori gioco e ha condizionato il seguito della primavera. Non abbiamo ancora definito il piano con la squadra, certo ho le mie idee e i miei desideri. Il Tour è così importante che sicuramente farà parte del calendario, vedremo se anche il Giro potrà essere incluso. Sarebbe fantastico. Vincere tutti e tre i Grandi Giri è il sogno di ogni ciclista. Quindi è qualcosa di molto importante, sarei molto felice di andare al Giro».

Vuelta Espana 2025, Bola del MUndo, Jonas Vingegaard, Matteo JorgensonIl successo alla Bola del Mondo ha incorniciato la Vuelta di Vingegaard: a Madrid l’inomani non si sarebbe corso

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Il Tour non si molla

Il Tour non si molla: impossibile immaginare che il danese decida di saltarlo finché sarà uno dei pochi pretendenti credibili. Perché dovrebbe farlo? Con Pogacar è il solo a poter scavare un baratro rispetto alla concorrenza e non è detto che lo sloveno sia sempre inattaccabile. Un’intervista di Wellens pochi giorni fa ha rivelato che il campione del mondo abbia corso l’ultima Grande Boucle con forti dolori a un ginocchio e in squadra si sia anche temuto che potesse ritirarsi. Vingegaard era lì e sarebbe ancora lì per approfittare di ogni cedimento, indotto grazie ai suoi attacchi o dettato dalle circostanze.

«Salterei il Tour – ha spiegato – solo se capissi di non poter lottare per la vittoria. Penso che il Tour sia così importante che le squadre che abbiano un pretendente alla vittoria vogliono portarlo. Questo vale per me e immagino anche per Tadej. Anche se non volessimo andarci, penso che dovremmo comunque accettarlo. Questo non significa che non mi piaccia, intendiamoci, perché il Tour è qualcosa di immenso che ha il suo fascino. E’ molto più grande della Vuelta, non posso parlare del Giro. In Francia, arrivi sul podio per firmare e ci sono trenta giornalisti che vogliono chiederti qualcosa. Alla Vuelta, scendevo dal palco e pensavo: “Ce ne sono solo due, così mi piace”. E’ questo che rende il Tour così faticoso. I media, il protocollo, i trasferimenti, ma è anche ciò che lo rende speciale. Lo capisci solo quando ci sei dentro».

Campionati europei Drome et Ardeche, Jonas Vingegaard, Tadej PogacarNon capita spesso di vedere Vingegaard e Pogacar contrapposti fuori dal Tour: qui sono agli europei

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In questo incastro maniacale di ritiri e corse, Vingegaard ammette che farebbe fatica a programmare la Liegi, che pure gli piace, perché in quel periodo solitamente si trova in altura. Allo stesso modo, pur ammettendo il fascino del mondiale di Montreal, dice che se dovesse fare la Vuelta troverebbe difficile prevedere il viaggio in Canada. Una visione a scomparti ben divisi. C’è davvero posto per il Giro d’Italia nel suo calendario?