Il Guardian non le ha dato neanche una stella. Zero. E non è un’iperbole: All’s Fair, la nuova serie di Ryan Murphy con Kim Kardashian, è finita nel club esclusivissimo delle produzioni da “zero stelle”, un circolo così ristretto che conta appena diciotto membri. Il critico del Times, Ben Dowell, ha addirittura å che possa trattarsi della peggiore serie tv mai fatta. E non è stato l’unico, a giudicare dal tripudio di meme, stroncature e incredulità collettiva sul web.

E dire che All’s Fair doveva essere il grande debutto da attrice di Kim Kardashian, qui nei panni di un’avvocata divorzista di Los Angeles che guida uno studio di sole donne. Accanto a lei ci sono colossi come Naomi Watts, Glenn Close e Sarah Paulson, ma nulla sembra salvarla: tra dialoghi improbabili, plot che oscillano tra il legal drama e il fashion tutorial, e una fotografia così patinata da sembrare un reel sponsorizzato, il risultato è più vicino a una fanfiction di Suits che a una produzione di Ryan Murphy.

A noi, In Italia, All’s Fair ricorda pericolosamente Gli occhi del cuore, la finta fiction di Boris, la miglior parodia della nostra tv (e dunque del nostro Paese). Un trionfo di kitsch, fatto di dialoghi telefonati, faccette, luci smarmellate, trame improbabili, personaggi involontariamente comici, un tono generale da brutta soap opera.

Eppure, come accade con certi disastri televisivi, All’s Fair rischia di diventare irresistibile proprio per questo: un guilty pleasure. E più che sul flop personale di Kim Kardashian, qui tocca riflettere su quanto male facciano certe produzioni al messaggio di girl power che vogliono trasmettere. Povero empowerment femminile.