Sette anni separano le due edizioni di Senza tempo , il progetto fotografico con cui Filippo Cristallo indaga la città in cui è nato e vive, dopo aver costruito negli anni un percorso che alterna ricerca antropologica e documentazione poetica: dai reportage messicani (Día de Muertos, Mexicans) all’indagine sugli spazi domestici di Memorie di palazzo, presentato a Fotografia Europea di Reggio Emilia e al PAN di Napoli.

E oggi fa ritorno alle origini, si rivolge verso casa dopo aver imparato a vedere altrove.

Il 22 novembre, alle 18:00 al Circolo della Stampa di Corso Vittorio Emanuele, si presenta il volume riedito e si inaugura la mostra che resterà aperta fino al 4 dicembre, arricchita di nuove sequenze che completano la visione originaria.

Potrebbe interessarti

Avellino Senza Tempo negli scatti di Filippo Cristallo: «Racconto la mia città smarrita»

Sono fotografie che documentano una persistenza: Avellino scorre uguale a se stessa, e questa immutabilità diventa materia di osservazione.

Le venticinque immagini in bianco e nero attraversano la città per luoghi più che per monumenti. La Dogana, la Gil, l’Autostazione, il Teatro Gesualdo colto da angolature laterali, i quartieri periferici dove l’architettura post-terremoto ha lasciato un’impronta che il tempo non ha ancora riassorbito. Mancano la Torre dell’Orologio e la piazza del Duomo, come in un ritratto che cerca i contorni meno evidenti del volto, quelli che dicono di più. Sono gli spazi che attraversiamo ogni giorno senza guardarli davvero, troppo familiari per imporsi all’attenzione.

Cristallo lavora sui grigi come un incisore sui toni. I volumi si stagliano contro cieli drammatici, le linee degli edifici dialogano con quelle dei marciapiedi, rare tracce di vegetazione interrompono la durezza del cemento. In una delle fotografie, una piazza vuota si apre sotto nuvole cariche, un’automobile solitaria parcheggiata al centro che diventa presenza enigmatica, quasi metafisica. In un’altra, il contrasto tra un palazzo residenziale dagli aggetti curvi e una scultura classica – un torso che protende la mano verso l’alto in gesto trattenuto – crea una tensione tra aspirazione e stasi.

La presenza umana è quasi del tutto assente, perché l’autore vuole mostrare il contenitore prima del contenuto, la scena prima dell’azione, lo spazio nella sua dimensione più pura. È un approccio che lo colloca nella tradizione della grande fotografia di paesaggio italiana, quella che negli anni Ottanta trovò in Luigi Ghirri il suo teorico e in Guido Guidi, Gabriele Basilico e Mimmo Jodice i suoi interpreti più rigorosi. Come loro, privilegia l’attenzione al paesaggio circostante, trasformando il quotidiano in campo di indagine visiva.

Il riferimento a Basilico è evidente nell’attenzione alla struttura urbana, nella capacità di leggere la città come testo architettonico stratificato. Ma c’è anche l’eredità di Wim Wenders, quell’arte di guardare il mondo ad altezza d’occhio che il regista tedesco aveva appreso dal neorealismo italiano e dalla tradizione americana. Uno sguardo paziente, che registra senza enfatizzare e proprio per questo rende evidenti le contraddizioni.

Avellino, come tante città del Sud segnate dal sisma e dalla ricostruzione affrettata, vive in una dimensione temporale peculiare: non è immobile ma nemmeno in movimento, piuttosto scorre parallela a se stessa, accumulando strati senza mai davvero trasformarsi. Le nuove sequenze fotografiche che Cristallo aggiunge in questa edizione documentano proprio questa persistenza, questa capacità della città di rimanere uguale anche mentre sembra cambiare.

Nelle fotografie non c’è amarezza, piuttosto una forma di partecipazione affettiva che si manifesta nella scelta di continuare a guardare. Il fotografo testimonia con rigore formale ciò che esiste, cercando di estrarre una forma compiuta da un contesto incompiuto. È un gesto che richiede insieme distanza critica e prossimità emotiva, la capacità di vedere la propria città come se fosse altrove e insieme di riconoscerla come propria.

La mostra, accompagnata dalla presentazione del volume con i testi critici di Antonella Cappuccio e Generoso Picone, offre l’occasione di confrontarsi con questo sguardo. Per chi abita questi luoghi, può essere un’esperienza straniante riconoscere la propria città in queste immagini che la mostrano spogliata di ogni consuetudine percettiva. Ma è proprio in questo straniamento che si apre la possibilità di una visione più profonda.

Attraverso il suo percorso Senza tempo, Cristallo ci costringe in qualche modo a fermarci per osservare un paesaggio urbano che continua a interrogarci. E forse, in tempi di immagini effimere e sguardi distratti, questo esercizio di attenzione prolungata è già un atto significativo, un modo per dire che questi luoghi, con tutte le loro contraddizioni, meritano ancora di essere visti davvero.

Immagini: tutti i diritti riservati © Filippo Cristallo, 2025