C’è l’Oliviero Toscani polemista fotografo e creativo, autore di campagne pubblicitarie indimenticabili, spesso controverse, perché incentrate su temi sociali e politici scottanti e quello meno noto al pubblico che ci svela Paolo Landi, nel suo ultimo saggio “Oliviero Toscani, comunicatore, provocatore, educatore” (Edizioni Scholé).

Non ci si aspetti una biografia o un racconto pruriginoso o gossiparo perché questo non è proprio il genere nelle corde di Landi, professionista navigato che ha lavorato a lungo con Toscani per Benetton e che all’intensa attività di comunicazione ha sempre affiancato quella giornalistica e letteraria con una decina di saggi di spessore sull’uso consapevole dei media. Tra le pagine del libro, che intende anche essere una riflessione sul mutamento della cultura industriale nel secolo scorso preludio ai grandi cambiamenti introdotti nell’era digitale, emerge con potenza, invece, la sofferenza per un’amicizia che a un certo punto si interrompe bruscamente sull’uscio di Fabrica, il centro di comunicazione e di ricerca di Benetton, senza un motivo apparente, per poi riallacciarsi 12 anni dopo e riprendere vigore sul terreno di un comune progetto di lavoro. Un rapporto speciale, privilegiato, che la distanza fisica per la malattia del fotografo, scomparso a inizio anno, non cancella, ma anzi rende ancora più prezioso e struggente. Il libro, quindi, non è solo un interessante dietro le quinte del lavoro di Oliviero Toscani, ma rivela l’aspetto meno noto di una personalità che, piaccia o non piaccia, ha lasciato il segno.

La cover del libroLa cover del libro

Con la trasparenza che contraddistingue da sempre la sua attività Landi spiega a ItaliaOggi che «in realtà questo saggio è nato su commissione, non mi era proprio venuto in mente di scrivere qualcosa su Oliviero, ancora troppo forte il dolore per la sua recente scomparsa, ma la casa editrice Morcelliana tramite il suo direttore editoriale Ilario Bertoletti mi ha chiamato e mi ha proposto di realizzarlo. Ho accettato perché mi sembrava l’occasione anche per dare il mio punto di vista sulla personalità di Oliviero che a mio parere è stato spesso frainteso o, come tento di dire nel libro, è stato un po’ ridotto a degli stereotipi, cioè il comunicatore, il provocatore, magari anche l’educatore e il cattivo maestro. Ecco, secondo me, lui è stato appunto un po’ incasellato in questi stereotipi che non lo hanno fatto emergere nella sua autentica forza e interesse. È un po’ come quando di Pier Paolo Pasolini si dice che è stato un giornalista. Sì, lo è stato perché scriveva sul Corriere della Sera, però è stato anche molto di più. Quindi anche Oliviero non è stato soltanto un fotografo, non è stato soltanto un pubblicitario o un comunicatore. Era sicuramente un comunicatore, era sicuramente anche un provocatore però era anche di più di tutto questo e io ho tentato di spiegarlo raccontando l’innovazione che lui ha portato anche nella cultura industriale attraverso la fotografia».

La foto della copertina del libro mostra un Oliviero Toscani diverso

La foto di copertina è rivelatoria dell’intento dell’autore: è un ritratto di Oliviero Toscani con uno sguardo dolce, da buono. Landi conferma l’impressione: «È una foto inedita che ha scattato un fotografo nostro amico, Settimio Benedusi ed è vero: non è il Toscani più riconoscibile. Ma mi è piaciuto un po’ per questo, perché appunto le foto di Toscani polemista sono anche quelle che si trovano magari googlando. Sono foto abbastanza aggressive, perché lui era così, polarizzante nelle sue discussioni e quindi anche nelle sue immagini. Questo è un ritratto abbastanza recente, prima della malattia che lo ha portato via, mostra un Oliviero diverso, non immediatamente riconoscibile, proprio perché eravamo abituati ad un’altra immagine di lui. Un’immagine più dolce che però mi sembra racconti tanto di lui, perché alla fine Oliviero era un vero pacifista. Era, nonostante l’indole guerriera e combattiva, uno che credeva molto nel dialogo e nella pace».

Ma se Landi dovesse dare i voti a Toscani come comunicatore, provocatore, educatore cosa ci sarebbe scritto nella pagella? «Darei tutti dieci, anzi dieci e lode perché Oliviero era uno che si interrogava. Era qualcuno che sapeva ascoltare molto gli altri, che cercava sempre di mettersi in discussione, non era arrogante anche se all’apparenza poteva sembrarlo. Ecco è questo il tema che io ho cercato anche di svelare nel libro, magari lui sembrava arrogante, sembrava polarizzante, ma non lo era. Era in realtà un uomo che ascoltava molto gli altri, che si metteva sempre in discussione e che certamente aveva delle idee precise. A me ha insegnato molte cose, mi ha insegnato a guardare veramente gli avvenimenti, la cronaca, proprio da un altro punto di vista. Aveva queste idee precise, ma aveva anche molta fiducia nel dialogo, sapeva ascoltare gli altri ed era anche pronto a cambiare opinione, a rivedere le sue posizioni se qualcuno appunto gli portava dei dati certi. Per questo quindi darei il massimo dei voti sia come educatore sia come comunicatore. Il Toscani provocatore, invece, è un po’ uno stereotipo. Lui pensava che la provocazione fosse qualcosa di positivo, non di negativo. Per il mondo era il fotografo provocatore, agli occhi degli altri sembrava quasi lo facesse apposta, ma a me diceva: “Io mi sento più provocato da una pubblicità della telefonia che mi racconta quanti Giga mi regala, quando poi nessuno in realtà ti regala nulla, che dalle mie fotografie. E quindi che cos’è questa provocazione? Dicono che le mie foto sono provocatorie, ma a me sembra che sia il resto della pubblicità provocatoria”».

La comunicazione ai tempi dell’IA, una sfida che Toscani avrebbe colto con interesse

In tempi di sperimentazione dell’IA, di fake news, di foto e video manipolati anche la comunicazione finisce nel mirino e chi lavora nel settore si trova a navigare in una nuova complessità. «Oliviero diceva che non esiste la realtà, se la fotografia non esistesse non esisterebbe la realtà» spiega Landi «perché alla fine è quando tu fotografi qualcosa che questo qualcosa esiste e può esistere anche per sempre, mentre tu lo vedi magari per una frazione di secondo. Ma se poi lo fotografi quella foto rimane per sempre, quindi, in qualche modo cristallizza la realtà. Ecco di fronte a queste foto create dall’intelligenza artificiale e false mi sarebbe molto piaciuto conoscere il giudizio di Oliviero, perché lui era sicuramente favorevole alla tecnologia. Non è mai stato un luddista, aveva interesse a vedere come il futuro cambia anche e, soprattutto, tramite le innovazioni tecnologiche e, quindi, mi sarebbe interessato conoscere il suo giudizio su questo. Sinceramente non so cosa avrebbe detto, perché lui rovesciava sempre la prospettiva di quello che comunemente si pensa e, quindi, anche su questo tema avrebbe sicuramente avuto una visione originale. Personalmente» conclude «ritengo che l’lA sia un’evoluzione del digitale e che sia assolutamente importante, da non sottovalutare. Vedo che più l’IA evolve e più noi abbiamo a che fare con essa, più riconosciamo quando quello che ci propone è falso. Da comunicatore penso che sia anche un tema di abitudine, un tema di conoscenza perché, se io non la uso posso immaginare che una foto che mi viene proposta sia vera, ma se io sono abituato ad usare l’IA la riconosco immediatamente come falsa. C’è qualcosa, anche nelle voci riprodotte con l’IA, che mi crea un allarme. Quindi credo che sia proprio anche una questione di abitudine. Noi dobbiamo esercitarci ad usare questo strumento e usandolo ne trarremmo il meglio come sempre è accaduto nelle invenzioni tecnologiche e, quindi, impareremo a riconoscere quando ci propone cose false».

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