di
Massimiliano Nerozzi
Bella partita con tante occasioni allo Stadium: protagonisti i due portieri. Continua la striscia positiva dei granata, per Spalletti secondo pari consecutivo dopo quello contro lo Sporting in Champions
È stato un derby noiosetto prima e movimentato poi, più corretto in campo (un ammonito) che fuori (70 ultrà granata intercettati senza biglietto dalla polizia, evitando guai peggiori), che lascia una certezza e una domanda: a parte la sbornia iniziale con l’Inter, il Toro si conferma da grandi firme — battute Roma e Napoli, pareggio con la Lazio — mentre la Juve ricade nell’insostenibile leggerezza del suo essere, e della classifica anche, sempre ai bordi della zona Champions, ma mai dentro. Una qualificazione all’Europa che conta e ai suoi dobloni che resta il bersaglio grosso, come ribadito nell’assemblea degli azionisti: da bilancio o di morte.
Gli appunti restituiscono un pomeriggio comandato da Madama — 73% di possesso palla e 22 tiri a 8 — ma fatto di un dominio a lungo sterile, soprattutto nel primo tempo, o confusionario, come nell’affastellamento di cross del finale. Nel mezzo ci sono state la paratone di San Paleari, su Thuram, Conceicao, David, McKennie; ma pure quella di Di Gregorio su Adams.
Perché se il Toro è stato Grande Muraglia, sarebbe da neofiti spacciare il piano partita di Marco Baroni (in tribuna, squalificato) e di un pimpante Leo Colucci (in panca) per catenaccione e basta: i granata avevano pianificato il sabotaggio della catena mancina della Juve, spedendo Casadei al raddoppio su Yildiz e, con Pedersen, alla sorveglianza di Cambiaso. E, soprattutto, non rinunciando alle ripartenze, pur faticose, dalle quali sono usciti un gol di Simeone (in evidente fuorigioco) e, appunto, l’occasione di Adams. Contro la solidità del Toro ha sbattuto l’approssimazione in rifinitura dei bianconeri, per i quali l’ultimo step, il passaggio che ti manda in porta, sta diventando una maledizione: «Serve più qualità», ha infatti riassunto alla fine Luciano Spalletti. Quegli slalom, quei filtranti che possono scovare sentieri anche in mezzo alla giungla, nella quale però, ieri comandavano alla grande Maripan e Ismajli. E se il nuovo tecnico s’è già messo all’opera, è ovvio che tanto lavoro resti da fare, sennò mica metti in fila due esoneri in pochi mesi: così, la Juve è caduta in antichi vizi, tra giocate conservative, anche quando si poteva azzardare la profondità e imprecisioni sulla trequarti offensiva.
Ne era uscito un primo tempo complicato per la Juve, che manteneva il possesso ma faticava a sfondare, nonostante in fase di costruzione McKennie e Cambiaso entrassero dentro al campo, con Conceicao e Yildiz molto larghi. Morale: poca qualità in rifinitura centrale, cui non bastavano le avanzate di Koop. Tant’è che il primo tiro arriverà alla mezz’ora (Thuram) seguito dal primo affondo granata (Di Gregorio sui piedi di Simeone). Più bollicine nella ripresa, quando la grande chance capita sui piedi di Adams, che arma forte il rasoterra ma senza trovare l’angolo assassino. Da lì in poi, Paleari modello ultime partite, da urlo: murati McKennie e David, perché Lucio si era giocato tutta l’artiglieria, con Zhegrova e Openda. Il Toro lotta e respira (sventola alta di Asllani), la Juve si affida alla regia arretrata di Koop, uno da 60 milioni, pure ieri centrale mancino: meditate gente, meditate (anche sul mercato).
8 novembre 2025 ( modifica il 8 novembre 2025 | 21:49)
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