di
Tommaso Labate
Da Rifondazione al Pd, quando viene proposta scoppiano le liti
«Siamo a favore di una tassa europea sulle persone che hanno milioni a disposizione, sui miliardari», ha scandito Elly Schlein sposando immediatamente, mentre a New York erano ancora in corso i festeggiamenti per l’elezione del neosindaco socialista, la tassa sui super patrimoni che stava nel programma elettorale di Zohran Mamdani. Ed è bastato che fuori dal fortino del gruppo ristretto della segretaria del Pd il pacchetto venisse tradotto con la parola secca — «patrimoniale» — per dare il via al fuggi fuggi: per una volta d’accordo e a braccetto Giuseppe Conte e Matteo Renzi, entrambi non solo contrari ma anche contrariati; per una volta contenta davvero di una dichiarazione della leader del Pd anche Giorgia Meloni («Le patrimoniali ricompaiono ciclicamente nelle proposte della sinistra. Rassicurante sapere che, con la destra al governo, non vedranno mai la luce»), che usa l’assist involontario dell’avversaria per sgusciare via dal dibattito sui salari bassi e dalle polemiche sulla Finanziaria anemica.
A metà strada tra la Sora Camilla dell’antica filastrocca («tutti la vogliono, nessuno la piglia») e l’Araba fenice che risorge dalle sue ceneri, la patrimoniale è stata il più fastidioso tallone d’Achille del centrosinistra nato col bipolarismo della Seconda Repubblica. Di là le forbici antifisco di Silvio Berlusconi, che nel 2008 hanno tagliato la versione più larga della patrimoniale all’italiana, e cioè la vecchia Ici sulla prima casa; di qua la litigiosità perenne tra la sinistra-sinistra che premeva per la patrimoniale e la sinistra-centro che si sgolava al grido né ora né mai.
Archiviate non senza ferite la campagna pubblicitaria di Rifondazione comunista che nel 2007 pungolava la Finanziaria di un governo che pure sosteneva (il Prodi II) con lo slogan «Anche i ricchi piangano» (D’Alema lo definì in privato «uno degli slogan più cretini mai visti») e le polemiche suscitate dall’uscita del ministro Tommaso Padoa-Schioppa che osò definire «bellissime» sia le tasse che l’esercizio del pagarle, la patrimoniale s’è confermata come una sorta di chewing-gum che, se calpesti, ti rimane appiccicato sotto le scarpe. E non se ne va.
Lo sa benissimo Giuliano Amato, che per lenire le pene del dissesto finanziario e non sganciare ulteriormente la lira dal sistema monetario europeo, nella notte tra il 9 e 10 luglio del 1992, da Palazzo Chigi, premette il tasto rosso su un prelievo forzoso dai conti correnti bancari e postali degli italiani provocando uno choc ancora oggi vissuto come un trauma. Trauma persino ingigantito rispetto all’entità del prelievo di cui sopra, sei per mille (600 mila lire per chi aveva 100 milioni), che ancora oggi rispunta nei commenti social ogni qualvolta un’intervista del Dottor Sottile viene pubblicata da chiunque sul suo profilo Facebook.
Al pari dello slogan di quel carosello del secolo scorso che non a caso reclamizzava un famoso confetto lassativo, anche per la patrimoniale «basta la parola». Basta che qualcuno la pronunci e, a ragione o a torto, succedono subito due cose: a sinistra litigano, a destra esultano. Lo sanno bene i tanti che nel perimetro del Partito democratico hanno scelto di tanto in tanto di dare retta al suggerimento del principe del centrosinistra editorial-finanziario, l’ingegner Carlo De Benedetti, che della patrimoniale è sempre stato il sostenitore pubblico numero uno.
Nel 2022, prima delle elezioni politiche che avrebbero finito per incoronare Giorgia Meloni, l’allora segretario Enrico Letta escogitò la mossa di una superpatrimoniale sulle tasse di successione dell’un per cento ultraricco del Paese finalizzata a fare una dote «di diecimila euro a tutti i diciottenni della generazione Covid»; successe un putiferio, compreso il niet di Mario Draghi. «Nel 1996 ci pensai anche io», confessò una volta Romano Prodi ricordando quando, di fronte alla necessità di dare una raddrizzata ai conti pubblici, gli si erano parate dinnanzi due strade: la strategia della formichina, raccogliere piano piano; e quella della «botta secca, quindi agire con una patrimoniale». Decise di sposare «la formichina» e di scartare la «botta secca». Visti i chiari di luna, non c’è stato neanche da chiedergli come mai.
Vai a tutte le notizie di Roma
Iscriviti alla newsletter di Corriere Roma
8 novembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA