di
Andrea Laffranchi
Negli ultimi anni si era staccato dal Festival perché trovava svilito il ruolo di direttore
In un mondo – quello in cui viviamo – dove tutti gridano per farsi notare e in un settore – quello musicale – che vive di suoni e canto, Peppe Vessicchio è diventato un’icona con il silenzio. Bastava il «dirige l’orchestra» pronunciato dal conduttore al Festival di Sanremo prima della partenza di ognuna delle canzoni in gara perché tutti noi ci immaginassimo la telecamera puntata sul suo sorriso enigmatico nascosto da barba e baffi. Peppe alla napoletana, non Beppe come in tanti sbagliavano e lui che mai li correggeva.
Vessicchio è stato per tre decenni, a partire dagli anni Novanta quando all’Ariston tornò l’orchestra, una costante del Festival. Uno dei direttori con più presenze e vittorie (ben quattro) sul cartellino. Lo volevano tutti gli artisti perché non è facile domare quella bestia che è l’orchestra di Sanremo. Mettere un motore così potente su una canzone che non ha le spalle larghe la può anche spezzare. Il direttore sapeva invece coniugare le conoscenze accademiche di arrangiatore con una sensibilità pop senza snobberie.
La sua popolarità aveva ottenuto ulteriore spinta da «Amici» di Maria De Filippi: lì era il maestro comprensivo, competenza tecnica e toni pacati. Era diventato così iconico che nel 2017 la sua assenza divenne notizia più importante della presenza di tanti cantanti.
Colto, ironico (in gioventù aveva fatto anche cabaret), elegante, cura maniacale della barba e del taglio sartoriale degli abiti da vero gentleman napoletano, non si era mai fatto prendere la mano. Non lo aveva mai sfiorato l’idea di capitalizzare la popolarità diventando un opinionista buono per tutte le stagioni. Non era nel suo. Era un uomo di ragionamento, di equilibrio, di conoscenza e non di battuta da applausi facili. Anche le stroncature feroci, spesso a microfoni spenti, arrivavano con quel sorriso da stregatto che si riusciva a leggere anche sotto i baffi e la barba.
Da qualche anno si era distaccato dal Festival e più in generale dalla musica pop. Gli sembrava che il ruolo del direttore fosse svilito dall’uso sempre più frequente di sequenze, suoni preregistrati e clic che aiutano i musicisti a stare a tempo. Nell’ultima edizione di Sanremo aveva notato, sempre con grande garbo verso i colleghi di podio, che la scenografia impediva addirittura il contatto visivo fra direttore e orchestra.
Il suo rifugio era diventato lo studio degli influssi della musica sulle piante: confessava di aver fatto i primi esperimenti piantando pomodori nella vasca da bagno di casa per arrivare a produrre vino che faceva affinare in cantina al suono dei compositori classici. Lì sì che c’è bisogno di un direttore.
8 novembre 2025
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